16.10.11

Sul 15 ottobre: La posta in gioco è una sola

Come in tutte le buone famiglie, ci confronteremo domani su ciò che è successo ieri nella Piazza di Roma, ragionando su quanto accaduto, percepito, ragionato da chi c'era e da chi non c'era alla manifestazione. 
Personalmente, propongo di seguito la riflessione di Loris Campetti sul Manifesto di oggi, che condivido in pieno e rappresenta lo spirito con cui riprendiamo, fin da subito, il nostro impegno politico. Stefano



di Loris Campetti



Cinquecento guastatori nerovestiti che scatenano la guerriglia in città non possono e non debbono far dimenticare la violenza di chi pretende di governare il mondo imponendo ai loro inservienti politici che fingono di governarlo regole antisociali, destinate a colpire le fasce più deboli e intere popolazioni in tutto il mondo. Sono vittime essi stessi, i cinquecento nerovestiti, di quella violenza globale, e reagiscono a modo loro. Né tre automobili e una ex caserma bruciati possono e debbono cancellare la determinazione e la rabbia di centinaia di migliaia di cittadine e cittadine che hanno invaso Roma a mani nude per dire che bisogna cambiare subito le regole, la politica - altro che l'antipolitica di cui in troppi cianciano - la società, la cultura. Quelli che la democrazia è partecipazione ma anche riappropriazione dei beni comuni sottratti.

Anche il futuro è sottratto, non ne possono più e vogliono riprenderselo in mano. Sono indignati, chi cercando lo scontro e riproponendo un rito stanco, nell'illusione di aggregare la rabbia di tutti, di quel 99% di cui parlano slogan e cartelli: quei cinquecento più altrettanti giovanissimi che sono riusciti a tirarsi dentro. Chi invece declinando la sua rabbia persino con ironia, come recitava un cartello divertente: «Io nun so' indignato, me rode er culo». L'opposizione sociale c'è e si vede, è fatta di mille pezzi, culture e storie diverse, di individui e movimenti, uniti da una battaglia appena iniziata contro la dittatura della finanza che impoverisce la cultura, flagella scuole, ricerca e sapere, chiude fabbriche e teatri, tenta di scatenare una guerra orizzontale tra le vittime, nell'illusione di impedire il conflitto verticale dal basso verso l'alto, verso la cupola: la Bce, l'Fmi, il Wto. Ieri a Roma l'opposizione sociale si è ripresa la parola e la città, in scena è andato chi non sta al gioco perché ha capito che è un gioco truccato. L'ha talmente capito da resistere ai caroselli senza senso e pieni di provocazione della polizia con gli idranti in piazza San Giovanni e da espellere dal corteo chi con il suo agire rischia di frenare la crescita di un movimento che non vuol farsi fermare.

Per questo l'elemento unificante della protesta è il rifiuto della lettera della Bce, rispedita in massa al mittente. Ma ha preso corpo anche il rifiuto di quel maledetto articolo 8 della manovra di Berlusconi, Tremonti e Sacconi che si mangia quel che resta della democrazia nel lavoro. Lo sanno e lo ricordano a tutti gli operai della Fiom sfilando in tantissimi con le loro bandiere accresciute dall'orgoglio di Pomigliano; ma ai draghi ribelli, agli studenti e ai precari, al popolo di Uniti per l'alternativa non hanno neanche bisogno di ricordarglielo. Venerdì prossimo tornerà la protesta a Roma con i lavoratori della Fiat che a loro volta non devono spiegare a nessuno dei manifestanti di ieri che Berlusconi è un cancro da estirpare e la medicina non può essere Marchionne, che al modello antisociale liberista ha dato corpo. Non sfileranno da soli, gli operai della Fiat, come non protesteranno da soli gli studenti, il popolo NoTav, gli ambientalisti, gli attivisti dei beni comuni. Ieri a Roma è stato ufficializzato un fidanzamento che può durare a lungo, perché lunga sarà la battaglia per dar corpo a un'alternativa capace anche di farsi politica. La parte di sinistra politica che ieri ha partecipato al corteo dovrebbe aver preso molti appunti. Almeno è quel che sperano in tanti, quelli che di deleghe in bianco non sono più disposti a darne.

Ieri sera, mentre a piazza San Giovanni continuavano gli scontri, il centro di Roma era tutto un susseguirsi e incrociarsi di cortei. Ancora verso la piazza ormai impossibile, oppure su per via Merulana fino a ritornare al punto di partenza a piazza Esedra, oppure con la Fiom fino a piazza Vittorio, e ancora con gli studenti preceduti dal camion del Valle occupato dal Colosseo al Circo Massimo, infine con Uniti per l'alternativa da San Giovanni sempre verso il Circo Massimo. Tutti questi spezzoni gridavano la stessa cosa e avevano in mente un ordine diverso da quello che toglie i soldi alle scuole, ai salari, alla cultura, all'ambiente, alle pensioni per darli alle banche.

In questa partita è in gioco il modello sociale dato e quello che si vuole costruire. A Roma come in tutte le città del mondo in cui con lingue e accenti diversi si soffre della stessa spoliazione: della democrazia e insieme del pane. A Roma questo popolo generoso ha un problema specifico che si chiama Berlusconi e una nuova ferita inferta dall'ultima compravendita di voti in Parlamento. Due mondi opposti si animano davanti ai nostri occhi: in piazza la dignità di un popolo, nei Palazzi la vergogna di un ceto blindato autoreferenziale. Il primo mondo è maturo, ha imboccato la sua strada, il secondo è marcescente. In quale dei due mondi sta la politica? Non chiedetelo a chi dice che una grande manifestazione è stata rovinata da un gruppo di irresponsabili: non è vero, la grande manifestazione c'è stata e basta e non sarà certo l'ultima. La strada è lunga, c'è tempo per crescere, e per maturare.

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