29.3.11

Report incontro nazionale per l'AltraRiforma

Riporto di seguito il report della due giorni tenutasi alla Sapienza a Roma cui abbiamo accennato nei post precedenti.

Con Francesco Gabriella e Federico, in rappresentanza del Movimento Studentesco maceratese, ho preso parte ai workshops ed alle assemblee sulla democrazia e partecipazione, sul welfare e il diritto allo studio, sugli statuti universitari le tasse e i bilanci.

Ripropongo di seguito il report convinto che vada elaborata una riflessione sempre più complessa, che necessita di continuità ora che la politica non sembra in grado di rappresentare le istanze sociali che si moltiplicano.

Il Laboratorio si inserisce in questo ragionamento, che ci porterà a sostenere lo sciopero del 6 maggio ed i referendum del 12 giugno.

Stefano



Due giorni per l'AltraRifoma dell'università ,due giorni di confronto tra studentesse e studenti da tutt'Italia, due giorni che rappresentano una nuova tappa del percorso di costruzione di un’alternativa dal basso alla legge Gelmini. Ci siamo confrontati sui temi della partecipazione democratica, del welfare studentesco e universale, della didattica, del finanziamento degli atenei e intendiamo rilanciare la battaglia a tutto campo per il cambiamento reale e radicale dell’università, la lotta per trasformare l’università, per ripubblicizzarla, per renderla un luogo capace di diffondere saperi e costruire futuro.


È proprio questo percorso di contenuti, di analisi e di proposta, a permetterci di rivendicare pienamente la continuità tra le mobilitazioni di piazza di questi mesi e il nostro quotidiano lavoro di vertenzialità, rappresentanza e mutualismo. Non innalziamo bandiere sugli strumenti di lotta, bensì li utilizziamo per costruire il cambiamento che vogliamo, cioè un’università pubblica, democratica, universalmente accessibile, libera da qualsiasi condizionamento confessionale o di mercato, e in grado di essere il motore di un cambiamento radicale della società, della costruzione di un nuovo modello di sviluppo, della promozione dell’uguaglianza. Le contraddizioni della legge Gelmini e del fronte che l’ha sostenuta stanno evidentemente scoppiando in questi mesi: il processo di revisione degli statuti è nel caos, tra le varie caste baronali è guerra totale sui fondi e sulla governance, il presidente della Crui Decleva si è dimesso in anticipo per non affrontare l’applicazione della legge che lui stesso ha fortemente sostenuto. Pertanto la battaglia contro la legge Gelmini, all’interno delle commissioni statuto come nelle piazze, deve continuare fino in fondo, all’interno di quel generale fronte di mobilitazioni e vertenze per la costruzione dell’altra università.


Per questo l’ AltraRiforma, esperienza frutto dei limiti dell'Onda e della sua capacità di aprire nuove strade, rappresenta davvero l’unica alternativa possibile alla riforma Gelmini e alla non-università di oggi, l'unica possibile non per i suoi contenuti, ma perché è una riforma che nasce dalle studentesse e dagli studenti che vivono realmente l’università e che si sono mobilitati in questi anni per rivendicare la centralità dei saperi nel nostro Paese. Ripartire dai soggetti reali che vivono l’università come gli studenti i ricercatori, i precari è una condizione imprescindibile per costruire un processo di riforma che sia vivo ed efficace. Il carattere straordinario e innovativo dell'AltraRiforma sta proprio nel legame inscindibile tra proposta e mobilitazione, per questo l’AltraRiforma non è semplicemente un elenco di idee concrete per migliorare l’università italiana, bensì una pratica politica costante che pone al centro il tema dell’alternativa e della reale possibilità di cambiamento per questo Paese, abbracciando tutte le lotte sociali protagoniste di questo autunno.


Il tema della vittoria dei movimenti sociali non può, infatti, essere scollegato dalla capacità di costruire alternative dal basso, in contrapposizione con qualsiasi provvedimento imposto dall’alto che prova a restringere lo spazio dei diritti. Ma non ci limitiamo all'università, abbiamo tante altre idee di futuro per un’altra idea di paese. Proprio quest’autunno abbiamo ripreso quella “vertenza generale sul futuro” aperta dall’Onda del 2008, affermando con forza che la questione generazionale è una questione sociale. Abbiamo posto al centro del dibattito pubblico la nostra condizione, sospesa tra una formazione indebolita, svuotata, parcellizzata e la scelta ricattatoria tra la schiavitù della precarietà e la resa all’emigrazione. In questo senso la giornata del 9 aprile, “Il nostro tempo è adesso”, sui temi del lavoro precario rappresenta un’occasione da non perdere per rilanciare il tema della precarietà nel dibattito pubblico. Non ci interessa una mobilitazione puramente evocativa, bensì vogliamo che vengano messi in luce e affrontati con determinazione tutti i nodi del dibattito sul tema: la proliferazione delle forme contrattuali atipiche, l’assenza di diritti, garanzie e tutele sociali per chi non ha un contratto a tempo indeterminato. Vogliamo anche che si metta in luce il carattere esistenziale della precarietà, ovvero il generale processo di precarizzazione, mercificazione e colonizzazione di tutti i nostri tempi di vita. Questi temi vanno rilanciati e praticati anche sul piano vertenziale, costruendo in tutti i territori percorsi concreti, a partire da ciò che ci sta più vicino: gli stage e i tirocini, i praticantati, il lavoro nero.


Il nostro obiettivo è proprio svelare le connessioni tra tutti i soggetti sociali che stanno pagando la crisi, in vista dello sciopero generale del 6 maggio. Del resto il caso Fiat, negli ultimi mesi, ha reso definitivamente obsoleta ogni distinzione tra garantiti e non garantiti, di fronte alle leggi del profitto. La minaccia della delocalizzazione rappresenta la generalizzazione del ricatto della precarietà, il tentativo di assoggettare settori sempre più ampi della popolazione alle logiche dello sfruttamento, in un lungo percorso di disciplinamento e impoverimento.


Per questo è particolarmente importante il percorso di costruzione dello sciopero generale proclamato dalla Cgil per il 6 maggio. Non possiamo limitarci a portare la nostra solidarietà ai lavoratori, ma dobbiamo portare lo sciopero nelle università, realizzando un blocco reale del sistema della formazione e della ricerca. Il 6 maggio dobbiamo bloccare il Paese per sbloccare il futuro.


Per far ciò è necessario mobilitarsi anche nella giornata di azioni del 19 aprile, proposta dall’Unione degli Studenti, moltiplicandola sui territori e coordinandoci, per farne un'occasione per rendere palese il legame tra la crisi, la precarietà e la conoscenza, attraverso azioni e rivendicazioni legate al tema del welfare e dell’accesso ai saperi.La necessità di fare dello sciopero un momento di conflitto reale impone di investire su una partecipazione significativa sul piano della quantità e della qualità.


Ciò può avvenire solo attraverso un vero percorso di discussione e partecipazione all’interno delle facoltà, in grado di bloccare il 6 maggio tutti gli atenei e contribuire in maniera concreta e sostanziale allo sciopero generale. La nostra partecipazione sarà caratterizzata dai temi che ci accompagnano ormai da mesi: questione generazionale come questione sociale, lotta alla precarietà, rivendicazione di un nuovo welfare universale, lotta per la parità di genere contro il sessismo, lotta per difesa dei beni comuni e mobilitazione per la pace e il disarmo.


I temi globali intersecano da tempo la nostra agenda e la nostra analisi, e per questo la mobilitazione del 2 aprile per la pace, il disarmo e la democrazia in Libia ci vedrà di nuovo in piazza. Il nostro obiettivo è costruire un fronte ampio di opposizione sociale, che sappia legare tra loro il movimento per la pace e il percorso verso lo sciopero generale, fino all’appuntamento referendario di giugno. Le battaglie per la ripubblicizzazione dell’acqua, contro il nucleare e per le energie rinnovabili ci vedono già impegnati nei territori. Il nostro lavoro preparatorio può essere fondamentale per il raggiungimento del quorum, in particolare se riusciremo a costruire le condizioni materiali per una partecipazione massiccia al voto degli studenti fuori sede.


Ma le mobilitazioni per i beni comuni rappresentano anche e soprattutto l’occasione di costruire reti locali in difesa dei territori, in grado di fare da presidio di resistenza e di promuovere processi virtuosi di rilancio dei territori, all’interno dei quali sarà fondamentale il ruolo dei saperi per la riconversione ambientale e sociale dell’economia. Mobilitarsi per la pace, costruire uno sciopero generale vero e partecipato, vincere le battaglie referendarie significa porre le condizioni per un ribaltamento dei rapporti di forza in questo paese, per un’inversione di tendenza nei processi di precarizzazione e privatizzazione in atto da decenni. Tramite il protagonismo diretto dei soggetti sociali, abbiamo davvero l’opportunità di liberare l’Italia, porre fine al berlusconismo, dare alla nostra generazione un’alternativa alla fuga.


Hanno partecipato ai workshop e all'assemblea 227 studenti da 21 atenei italiani. Le realtà organizzate che vi hanno preso parte sono:

Assemblea Permanente Urbino, Ateneo Controverso – Cosenza, Collettivo duekappaotto – Campobasso, Coordinamento universitario Link Tuscia, LINK Benevento, LINK Fisciano – Salerno, LINK Bari, LINK Kollettivo Foggia, LINK Napoli, Link Roma, LINK Siena, LINK Taranto Lista di Sinistra – Trieste, Movimento Studentesco Macerata - Osservatorio Indipendente d'Ateneo – Udine, Panenka – Bologna, Sindacato degli Studenti – Padova, Sinistra Per – Pisa, Si Studenti Indipendenti – Torino, UDU Lecce

26.3.11

Roma in blu: acqua e nucleare.

Erano più di trecentomila i manifestanti per i tre si ai referendum sull’acqua pubblica e contro il nucleare, che hanno sfilato questo pomeriggio a Roma, da piazza della Repubblica a San Giovanni. Il corteo era aperto dagli striscioni del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e del comitato contro il nucleare, seguiti dai gonfaloni di decine di comuni e province, con i sindaci schierati a sostenere l’appuntamento con i referendum di giugno. Subito dopo la parte più consistente del corteo, quella dei comitati locali, che da anni si battono contro la gestione pubblica dell’acqua.


Già verso le 17 piazza San Giovanni si stava riempiendo con i tanti gruppi arrivati a Roma in mattinata. E’ questa la terza manifestazione nazionale che chiede di bloccare la privatizzazione dell’acqua. Dal primo appuntamento del 2009 la partecipazione è aumentata, passando per la cifra record di firme raccolte per i quesiti referendari lo scorso anno, oltre un milione e quattrocentomila adesioni.

23.3.11

Cambiare l'Università: incontro nazionale per l'AltraRiforma

Ecco di seguito un importante appuntamento per i movimenti studenteschi: a Roma, questo fine settimana, oltre all'importante manifestazione per supportare i referendum per l'acqua bene comune e contro il nucleare, ci sarà una due giorni di workshops e assemblee pr ricostruire l'Università dal basso...

Per chi è interessato ad andare, ci muoveremo con il pullman di linea Macerata-Roma, partendo alle 4.30 di sabato mattina per tornare la sera della domenica (30 euro ca).

Info: Stefano 340.4987591.

Per partecipare alla sola manifestazione per l'acqua benecomune:

tel: 328/6505665

email: comitatoh2si.macerata@gmail.com

Dopo mesi intensi di mobilitazione crediamo sia importante incontrarsi e ripartire dai contenuti della nostra mobilitazione. Serve infatti una discussione pubblica che non si incentri solo sui tempi, bensì sui temi. Promuoviamo quindi un'occasione di confronto aperta a tutte le realtà studentesche universitarie che in questi mesi hanno condiviso in tutt'Italia il percorso di altrariforma dell'università. Invitiamo tutti a rileggere il testo provvisorio dell'altrariforma, aggiornato all'ultimo incontro nazionale, che si è svolto a Torino nell'occupazione di Palazzo Campana. (ecco il testo dell'altrariforma). Sarà importante potersi confrontare sulla riforma degli statuti alla luce dell'approvazione della riforma Gelmini. Abbiamo da tempo preparato, con un lavoro da parte di studenti di tutt'Italia, un opuscolo di proposte sulla riforma degli statuti. Sarà anche e soprattutto un momento di confronto, in vista di una nuova stagione di lotte, verso lo sciopero generale del 6 maggio. Due giorni con un'assemblea e dei workshop tematici per ripubblicizzare l'università e liberare l'Italia. VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=DKfvNsCkr5k Ecco il programma: MOVIMENTO STUDENTESCO: L'ALTERNATIVA ALLA FUGA incontro nazionale per l'AltraRiforma 26 marzo - Facoltà di Economia - Università la Sapienza - Roma ore 9:30 - inizio dei lavori - introduzione e presentazione del testo dell'AltraRiforma di Palazzo Campana Occupato ore 10 - 14 - workshop tematici: - diritto allo studio, nuove forme di welfare, tra nuovi bisogni e vecchi tagli - reinventare la partecipazione, ricostruire la democrazia negli atenei - cosa imparare, come imparare: ripensare la didattica - riscrivere i bilanci, ridisegnare la tassazione - riforma degli statuti: il punto della situazione dalle 14:30 i workshop sono sospesi per consentire la partecipazione all'importante manifestazione nazionale sull'acqua bene comune, verso il referendum. ore 22 - concerto Krikka Reggae - CSOA Intifada 27 marzo -facoltà di Sociologia - La Sapienza - Roma ore 9:30 - assemblea plenaria verso lo sciopero generale: il movimento studentesco tra ripubblicizzazione dell'università e liberazione dell'Italia



Segnaliamo anche l'appuntamento di Ateneiinrivolta: http://www.ateneinrivolta.org/organizziamo_rivolta che sicuramente integra e cammina parallelamente.

22.3.11

"Le Beatrici" di Stefano Benni

Continuiamo nella nostra rubrica dedicata ai libri, convinti che anche in un momento come quello attuale, in cui la guerra sovrasta l' immaginazione così come la nostra critica, sia importante rilanciare la cultura, il sapere, la formazione. Collettivamente, se possibile.
Ringraziamo ancora Martina e la Libreria Leggimi di Ancona per la recensione del testo di Stefano Benni.


Scrivere qualcosa di un libro di Stefano Benni è estremamente difficile e forse ha davvero poco senso. Perché bisogna leggerlo. Punto. Non c'è descrizione, frase, recensione che renda davvero l'idea. E chi ha avuto a che fare con libri di questo geniale autore capirà senza dubbio che cosa intendo. Questi ot...to monologhi per voce femminile sono comunque eccezionali. Ti fanno ridere, pensare, commuovere, incazzare; ti "smuovono". E tutto questo in appena 92 pagine. Alcune di esse sono forti, altre nostalgiche e delicate, altre assolutamente esilaranti, o assurde. In fondo non sono così diverse dalle donne stesse. Non sono così diverse dal variegato e complesso mondo femminile. Non c'è bisogno di elencare una ad una le 8 protagoniste dei monologhi: ci si può solamente limitare a dire che esse rappresentano, con eccessi e caricature, alcuni aspetti, negativi e positivi, della femminilità contemporanea. Ma non è tutto qui: richiami alla politica odierna, riflessioni sulla vecchiaia e sul senso di solitudine dei nostri anziani, sulle aspirazioni delle nostre giovani ragazze, sulla tragicità dei nostri tempi, sull'assurdo dei nostri schemi. Mi sentirei di segnalare due parti in particolare che mi hanno conquistato completamente: il monologo di Beatrice e la canzone per Fabrizio De André. Beatrice è proprio lei, quella di Dante, quella cantata e resa famosa dal poeta. Ora è lei a prendere la parola e a raccontare la sua verità. Sette pagine di pura genialità e assoluta comicità. Splendide. La canzone per De André rappresenta l'altro lato dello scrittore: quello lirico, profondo, poetico. Si tratta effettivamente di un componimento che De André avrebbe dovuto mettere in musica. Ma questo non accadde mai, perché morì.Leggete Le Beatrici. Assolutamente. Non c'è molto altro da dire.

18.3.11

La tragedia del Giappone e il nostro dolore

Quanto è successo, e sta succedendo, in Giappone è una tragedia dell'umanità.
Questo blog, chi ci scrive, chi contribuisce, chi lo allestisce, l'intero Laboratorio Giovanile Sociale ha sempre mostrato e lavorato nella piena consapevolezza che mentre la nostra vita scorre più o meno limpida in un paesino delle Marche, disfunzioni sistemiche e ingiustizie materiali falcidiano miliardi di persone. Con questa sensibilità, che è anche una consapevolezza, abbiamo lavorato e lavoriamo per costruire un mondo migliore partendo da Macerata e dai luoghi che viviamo: dai luoghi in cui si produce sapere, relazione e lavoro.
Eppure, quanto successo in Giappone mi appare oggi come qualcosa di veramente drammatico e inaudito, che disarciona le mie emozioni e fa scomparire la dignità della mia vita, forse perché avvenuto in maniera fulminea, improvvisa, per di più in uno dei Paesi più organizzati del pianeta. Alle decine di migliaia di morti, i cui cadaveri di nuovo annegano nell'acquitrino che ricopre la costa orientale, si affiancano tante, tante, troppe persone che sopravvivono, camminano in cerca di acqua, benzina, alloggio, cibo. Il governo non arriva, il monitoraggio del territorio non funziona, i soccorsi di tutti, Giappone e non solo, si dimostrano non all'altezza di una catastrofe naturale che ha trasformato anche gli artifici umani (la centrale, le dighe, i muri di protezione) in armi di distruzione. Non riesco a trovare altra immagine per riassumere gli articoli che leggo e le emozioni che provo se non quella di tante larve che camminano, dimenticate dagli dei e dagli uomini, che da ieri contrastano anche la neve e il freddo.
Ho letto di famiglie che da 7 giorni sopravvivono con 60 cl d'acqua, di bimbi morti di freddo... E forse la realtà supera l'immaginazione, come neanche Cormac MacCarthy in The Road.
Tutto questo è assurdo se pensiamo che flotte aeree e navali stanno partendo da tutto il mondo per la Libia e che una centrale nucleare fonderà a pochi chilometri dai luoghi disastrati. E' una fuga dall'inferno.
Perché non andare con le navi sulla costa, prendere le persone, e portarle nell'intatta Tokyo? Perché non consegnare una-due persone a ogni famiglia giapponese, per prendersene cura? Perché NESSUNO attracca là?
E come ci interroga quello che sta succedendo? Quanto il dolore e la sofferenza che così, di punto in bianco, sono piombate in questo mondo ci fanno davvero stare male?
Con quale dignità possiamo oggi andare in un pub, ascoltare la musica, mangiare un gelato, o anche parlare di Costituzione e Berlusconi, davanti a tutto questo?
Cosa possiamo fare, ancor di più, mai abbastanza, per cambiare davvero qualcosa, per alleviare la sofferenza, per azzerare le responsabilità e i crimini umani?

Stefano

17.3.11

Tanti auguri Italia mia.

Tanti auguri Italia mia, e nemmeno un altro di questi giorni!

ItaGLiani basta con questo nauseante patriottismo dell’ultima ora, vi sentite apposto con la coscienza se per un giorno fate finta di sentirvi parte di uno Stato?

Essere cittadino non significa : piazzare la bandiera al balcone di casa, tingersi i capelli e truccarsi col tricolore, comprare le scarpe “limited edition” solo per il 150°,cantare il solito pezzo di inno, fare il matrimonio in tinta con la bandiera (tutte cose viste nel tg2 di oggi).

La dote tutta italica di mercificare anche quello che non dovrebbe MAI avere un prezzo: valori, sentimenti, spiritualità, dignità…

Massimo D’Azeglio disse : “abbiamo fatto l’Italia, adesso dobbiamo fare gli italiani”; guardandomi intorno io non vedo Italiani (con la lettera maiuscola), o perlomeno ne vedo troppi pochi; vedo persone correre dietro un’idea lontana. Domani chi si ricorderà di far parte di uno Stato? Credo che la maggior parte, anzi tutti, riprenderanno la loro normale vita da menefreghisti e qualunquisti.

Eppure, a mio avviso, basta così poco per essere cittadini e costruire una nazione, anche un piccolo gesto come buttare una cartaccia nel cestino invece che per terra. So che la città non è né solo mia né solo degli altri, è NOSTRA, è della collettività; e quindi la tratto col debito rispetto in quanto bene comune.

Manca la coscienza della collettività, c’è troppo egoismo nei cuori delle persone che vivono in Italia.

Spero di vedere una vera festa per l’Unità d’Italia tra 50 anni, sentita e partecipata da tutti con la mente e col cuore.

Camilla Cagnoni

Uniti per lo sciopero, ci vediamo a Roma

Pubblichiamo l'appello di UnitiControLaCrisi per lo sciopero generale del 6 maggio 2011. Il Laboratorio Giovanile Sociale appoggia e parteciperà allo sciopero, in quanto passaggio cruciale (anche su questo blog invocato) per costruire democrazia sostanziale, legare inscindibilmente l'apertura di spazi per nuove soggettività con l'estensione dei diritti, declinando in maniera comune le esperienze e rEsistenze che abitano i territori: le scuole e le Università, le fabbriche e i nuovi luoghi di quel lavoro cognitivo e relazionale che genera nuove schiavitù ma apre spazi davvero ad una riappropriazione del lavoro sociale.
Noi ci siamo e lavoriamo affinché questo appuntamento sia generalizzato ed esteso veramente a tutte le realtà sociali.

Il prossimo 6 maggio lo sciopero generale indetto dalla Cgil si presenta come una grande occasione per il cambiamento nel nostro paese.

Non sarà una data rituale, e questo è gia dimostrato non solo per come è stato letteralmente costruito dal basso, dalle lotte di questi mesi, ma anche dal fatto che l'indizione delle «quattro ore» fatta dalla segreteria è già stata estesa all'intera giornata da molte categorie, dal commercio alla funzione pubblica, alle telecomunicazioni agli edili, e proposta dal segretario generale dei metalmeccanici alla propria categoria. In questi mesi le lotte per i diritti, la democrazia e la dignità hanno attraversato piazze e strade da sud a nord, riempiendosi di centinaia di migliaia di persone, donne e uomini che dall'università e dalla fabbrica, dalle loro case dai loro territori, sono usciti rendendo visibile un'idea altra e diversa di società da quella che sembra essere l'unica possibile, quella imposta dai fatti che accadono uno dopo l'altro e ci precipitano addosso dall'alto. Sembra ineluttabile infatti il declino a cui è condannata la condizione del lavoro, ridotta a una compravendita di corpi e intelligenze al massimo ribasso, privata di diritti e dignità, schiava delle imposizioni di chi accumula enormi quantità di denaro e potere grazie alla rendita sulle speculazioni finanziarie.

A Pomigliano e Mirafiori, nella scuola o all'università, chi governa lo fa in funzione degli interessi privati di pochi, trasformando i beni comuni, siano essi i diritti o le risorse, la conoscenza o la ricchezza generale prodotta, in qualcosa che è «privato», di pochi e per gli scopi di pochi. La democrazia diviene così il campo libero di manovra di una rete di oligarchie, le cricche, le caste, i potentati di affari, le lobbies senza scrupolo alcuno, le bande di arraffoni, corrotti, mafiosi. La democrazia viene svuotata perché «privata» del controllo pubblico sulle scelte che riguardano tutti; separata dalla giustizia sociale che è il suo fine.

Noi crediamo che sia giunto il momento di dire basta. È il momento di affermare con la forza di una partecipazione ed impegno civile e sociale che non vi è più alcuna differenza tra le lotte contro il ddl Gelmini e quelle degli operai e operaie della Fiat, tra la battaglia democratica contro l'oligarchia al potere e le sue nefandezze pubbliche e private e quella per la dignità delle donne sul lavoro e nella società. Non deve più esserci nessuna separazione tra democrazia e diritti, tra costituzione formale e materiale. Aggravata dalla proposta del ministro della Giustizia di rendere la Corte Costituzionale dipendente dal governo di turno.

Le lotte di questi mesi ci hanno mostrato un altro paese, orgogliosamente vicino alla vita vera, quella piena di difficoltà e di incertezze, di chi ha poco, di chi deve guadagnarsi tutto, conquistarsi passo passo ogni cosa. Il vento che arriva dal sud di questa Europa, ci dice che insieme, in tanti e diversi, possiamo sconfiggere ciò che sembra invincibile, possiamo e dobbiamo sconfiggere la violenza della guerra contro le popolazioni che manifestano in strada e allo stesso tempo l'idea che la democrazia si possa esportare con i bombardamenti. Possiamo e dobbiamo far tornare a vivere la lotta per la pace e dare un corpo comune ai sogni e alle speranze, trasformando la resistenza e l'indignazione in un'idea di nuova società, di nuova democrazia.

È per questo che riteniamo lo sciopero generale l'occasione di praticare insieme questo esercizio di libertà, di essere tutti uniti perché il 6 maggio questo paese si fermi veramente e guardi come prendere in mano il suo futuro. A partire anche dal percorso di Uniticontrolacrisi che ha avuto origine nella grande manifestazione della Fiom del 16 ottobre scorso, facciamo appello a tutti coloro che si stanno mobilitando nei propri luoghi di vita, nelle industrie, nell'università e nella scuola, nelle realtà del lavoro autonomo di seconda generazione, agli intellettuali, agli artisti e a tutto il mondo della conoscenza e dell'informazione, ai comitati ambientali e a coloro che si battono con i migranti per i diritti negati, alle donne, perché questo sciopero sia costruito dal basso, città per città, quartiere per quartiere, e si concretizzi in una grande e lunghissima giornata di protesta e proposta. Uno sciopero che sappia unire l'indignazione con la lotta per i diritti sociali, che sia quindi una sollevazione del popolo della nuova democrazia e della nuova società. Per costruirlo insieme bisogna cominciare subito a mescolarci gli uni con gli altri, a confrontarci tra tanti e diversi su come fare, su cosa significhi «bloccare il paese». Auspichiamo che si possa trovarci a discuterne in una grande assemblea nazionale il prossimo 25 marzo a Roma, a ridosso della manifestazione in difesa dell'acqua pubblica e per i referendum. La primavera è già iniziata.


* Gianni Rinaldini, Gino Strada, Don Andrea Gallo, Maurizio Landini, Luca Casarini, , Loris Campetti, , Michele De Palma, Rossana Rossanda, Moni Ovadia, Paolo Flores d'Arcais, Giorgio Cremaschi, Luciano Gallino, Andrea Alzetta, Francesco Raparelli, Betty Leone, Vilma Mazza, Marco Bersani, Luca Tornatore, , Gianmarco de Pieri, Paolo Cognini, Roberta Fantozzi, Eva Gilmore, Roberto Iovino, Emiliano Viccaro, Luca Cafagna, Simone Famularo, Eva Pinna, Giuliano Santoro, Simona Ammerata, Antonio Musella, Claudio Riccio, Mariano Di Palma, Giuseppe De Marzo, Roberto Giudici, Franz Purpura, Claudio, Sanita, Matteo Jade, Massimo Torelli, Guido Viale, Ugo Mattei.*Uniti contro la crisi*

14.3.11

Il ministro della distruzione




Sono un’insegnante di sostegno, supplente, con contratto a termine.


Ieri la ministra della mia categoria, colei che dovrebbe rappresentarmi, e colei da cui mi dovrei sentire protetta, è intervenuta nel programma “Che tempo che fa” in un’intervista che non merita di essere chiamata tale, a mio modesto avviso, in quanto altro non è stato che una tribuna politica.

Ho cercato e, con fatica, trovato il coraggio di ascoltarla e dopo imprecazioni e mal di stomaco per l’umiliazione e per la rabbia, provo a passare in rassegna i vari concetti e argomenti trattati dalla Gelmini. Vorrei farlo portando la mia testimonianza diretta, parlando di fatti quotidiani del mio lavoro.


Si parla di eccesso di personale: ci sono più insegnanti che carabinieri. Bhè…me ne compiaccio. Uno Stato in cui è lasciato più spazio alla cultura che alla paura è uno stato che mi rappresenta! Ma la ministra non la pensa così, sembrerebbe che le forze dell’ordine le stiano più a cuore! Che abbia sbagliato ministero?


Ma scendiamo nei fatti: nella mia scuola manca, a causa dei tagli, una figura docente (eppure non ci sono stati licenziamenti a sentir parlare lei!). E che sarà mai, una sola!? Una in più una in meno…Le conseguenze? Non esistono più compresenze, momenti in cui la tanto acclamata qualità emergeva, in quanto, ad esempio, si divideva la classe e si sfruttava l’aula di informatica, dove è impossibile andare con l’intero gruppo, perchè i pc sono 6, al massimo 7, quando il settimo decide di funzionare; oppure si organizzavano gruppi di rinforzo, in cui anche i ragazzini che necessitavano di più tempo, potevano raggiungere gli altri negli apprendimenti.


Una seconda conseguenza va a cadere sulle spalle dei bambini con disabilità, le cui preziosissime ore (che purtroppo sono sempre troppo poche) vengono utilizzate dalla scuola (che si trova costretta ad adottare questi rimedi) per coprire l’orario scolastico. Ma tanto, come dice lei, ci sono nella scuola disabilità inventate. Ma non si rende conto del dramma familiare che può esserci dietro all’accreditamento della disabilità? Come si può fregare su una cosa del genere?


Va bè…ma il punto è che si aveva bisogno di piazzare del personale, la scuola in fondo è un ammortizzatore sociale. Con questa affermazione ha praticamente demolito la credibilità della nostra classe, umiliandola e screditandola, accusandoci praticamente di parassitismo. La competenza, la passione nel lavoro, la dedizione sono scomparsi di colpo. Ma lei ha un rimedio anche a questo! Gli insegnanti potranno mostrare la propria preparazione, perche verranno valutati! Ma valutati in base a cosa? In base ai risultati, ovvero in base alle nozioni che riusciremo a trasferire nelle teste degli allievi.


Il ruolo del’insegnante, pieno di sfumature che vanno dalla pedagogia, alla psicologia all’educazione civile, svilito a un wikipedia con braccia e gambe.


Il docente è innanzitutto educatore. Ma questo come faranno a valutarlo???


La scuola quindi ridotta a una corsa ai voti, alla competizione. Senza prendere affatto in esame la generazione dei ragazzini con cui ci troviamo a lavorare: una generazione ricca di contenuto e di sensibilità, che non accetta come forma educativa quella dell’autoritarismo.


Parliamo di questo!Della necessità di cambiare rotta pedagogica!


Ma non può saperlo questo la ministra, non è del mestiere!


lucia

13.3.11

TUTTI INSIEME IN DIFESA DELL'ACQUA PUBBLICA


Mercoledì 9 Marzo, al SISMA a Macerata, alle ore 19.00, si è riunito il coordinamento del comitato provinciale per l'acqua pubblica.
L'argomento centrale della riunione è stato l'organizzazione in vista del referendum sull'acqua, che con tutta probabilità si svolgerà il 12 Giugno.

Il Laboratorio Giovanile Sociale, come realtà attiva sul territorio, è stato invitato ed è stato puntalmente presente a questo appuntamento, appuntamento che continua la sfida lanciata con la raccolta delle firme e che si concluderà con il voto del prossimo Giugno.

Presenti a questa riunione tra gli altri, anche alcuni membri del Movimento degli Studenti, l'Equo e Solidale, La Fabbrica di Nichi, il Centro Sociale (che ospitava l'incontro)...

L'obiettivo è sicuramente ambizioso visto che il raggiungimento del quorum è quasi proibitivo e di primo acchitto rende sfiduciati e pessimisti, a maggior ragione perché non si ha per il momento una sponda politica, visto che i partiti più grandi sono nella migliore delle ipotesi indifferenti, ma non è possibile pensare di arrendersi perché questa volta il risultato da ottenere è troppo importante, votare sì al referendum significherà affermare ancora una volta a gran voce che certi beni NON sono in vendita!

Si è, dunque, deciso di impegnarsi al massimo per far sì che questo risultato possa essere conquistato, mettendo in campo tutte quelle realtà cittadine, rete di contatti, associazioni e gruppi di cittadini che hanno a cuore la difesa dei beni comuni. In quest'ottica il Laboratorio può dire con forza la sua, cercando di coinvolgere attivamente tutti i propri contatti e in più attivandosi per realizzare delle iniziative in prima persona per informare la cittadinanza riguardo i quesiti referendari, per creare consenso e aiutare a raccogliere fondi.
A questo proposito, dalla riunione è emerso che il Forum dell'acqua pubblica per quanto riguarda la Regione Marche ha bisogno di 7.000€ per coprire le spese per il referendum, di cui 2.000€ spettano al coordinamento della Provincia di Macerata. Per questo è fondamentale la raccolta di fondi anche a livello delle varie associazioni.

Si è espressa anche una certa preoccupazione per la posizione del PD, altalenante tra un appoggio molto flebile, un disinteresse o addirittura in certi casi quasi di ostilità. Anche da questo è nata l'esigenza di guardare oltre i partiti e concentrarsi più sulla cittadinanza e sulle associazioni.

Si è ricordato che il primo degli appuntamenti previsti per sensibilizzare sul tema si terrà il 26 marzo a Roma per l'acqua bene comune e, in caso di massicca partecipazione provinciale, verrebbe istituito un pullman da Macerata.

L'ultima cosa da segnalare, ma sicuramente non in ordine di importanza, è l'evento previsto a Macerata per sabato 19 alle ore 16. Si prevede di fare un flash mob, dal titolo "chi lo dice che con l'acqua non si brinda?" e sarà organizzato dal Comitato provinciale per l'acqua pubblica con la partecipazione e l'aiuto del Laboratorio Giovanile Sociale, La Fabbrica di Nichi, il Movimento degli Studenti e con altre associazioni giovanili del territorio.
Per il momento sia le associazioni partecipanti, sia la modalità e il luogo dell'evento sono ancora da concordare. A questo proposito mercoledì 16 marzo alle 18.30 presso l'atrio di Filosofia, ci sarà un incontro tra le varie realtà del territorio per definire i dettagli mancanti.

Comunque qualsiasi novità, sia riguardo questo evento sia per quelli futuri, verrà prontamente segnalata in questo blog.


Daniele Benedetti - Laboratorio Giovanile Sociale.

10.3.11

Festa della donna e forme della solidarietà

In occasione della festa della donna è stata avviata dalla Regione Marche una campagna di sensibilizzazione contro la violenza: si è tenuto in Ancona (Piazza Roma) il primo di una serie di eventi, che coinvolgerà, per tutto il 2011 fino al 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne), alcuni comuni marchigiani aderenti all'iniziativa: il 12 novembre sarà il giorno di Macerata. Le forme della violenza. Il vuoto del silenzio. La vita delle parole: questo il titolo scelto per un percorso che “vuole affermare una cultura del rispetto delle differenze e delle identità per una trasformazione culturale che deve vedere impegnati tutti, dalle istituzioni alla società civile”.

Molteplici sono le forme della violenza sulla donna. Amnesty International differenzia quattro insiemi eterogenei che spesso finiscono per confondersi tra loro: violenza sessuale, fisica, psicologica e delle risorse. La vita domestica può nascondere una vita femminile dominata da: “rapporti sessuali non consensuali, in forma di stupro o incesto”, “limitazioni alla libertà di movimento delle donne”, “la proibizione imposta alla donna dal proprio compagno di avere un impiego o di detenere il controllo su quanto guadagna attraverso il proprio lavoro”, “accettazione di un matrimonio violento perché la separazione o il divorzio getterebbero "discredito" sulla famiglia”, “la vendita o la tratta di donne a scopo di prostituzione o lavoro forzato”, “l'assenza di un'appropriata legislazione o codice penale che riconosca la violenza sulle donne per mano del compagno o dei componenti della famiglia come una violazione dei diritti umani e un reato che deve essere indagato e punito”.

Sono solo alcune delle modalità con cui la violenza penetra nella vita della donna creando lentamente quella spirale paralizzante di angoscia e paura, che annienta, nel vuoto del silenzio, il desiderio che le cose possano cambiare. Tale sacrificio quotidiano e silenzioso crea intorno a sé un vuoto di gioie e libertà, che rimanda sia all'impossibilità di trovare una “sicurezza” separata dalla dipendenza violenta da un uomo, sia all'assenza di un appiglio reale a cui aggrapparsi per tentare di rinascere in un'altra vita. A questo silenzio va data voce. La politica, allora, nella veste democratica di ciascun cittadino, dovrebbe sentirsi responsabile di riempire questo vuoto di “musica e parole”, citando Vecchioni (non certo di “bunga bunga”, per citare altri). Non il potere del denaro ma la vita delle parole, infatti, potrebbe avviare un processo di trasformazione culturale, capace di mettere in opera quella sensibilizzazione dello spirito, che avvicini ciascun cittadino ad una quotidiana cura per le ferite inferte alla donna: da una nuova comunità di persone democraticamente impegnate è possibile restituire alla donna un'altra sicurezza ed un'altra realtà in cui poter riscoprire la bellezza di vivere. Seguendo le indicazioni di Amnesty per la prevenzione della violenza domestica, il fiorire di questa solidarietà democratica potrebbe, cioè, favorire la crescita di pratiche orientate a:

condannare pubblicamente la violenza domestica; aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica su tale violenza; ripensare la scuola come luogo di educazione all'attraversamento dei pregiudizi alla base della violenza domestica; “abolire le leggi che discriminano le donne”; “assicurare che la violenza domestica sia considerata un reato”; “indagare e svolgere procedimenti giudiziari sulle denunce di violenza domestica”; “rimuovere gli ostacoli nei procedimenti su casi di violenza domestica”; “rendere obbligatoria la formazione del personale statale sulla violenza domestica”; “assicurare finanziamenti adeguati”; “realizzare e mettere a disposizione case rifugio per le donne in fuga dalla violenza domestica”; “fornire servizi di sostegno e assistenza”; “ridurre il rischio di violenza armata”; “raccogliere e pubblicare i dati sulla violenza domestica”; “far conoscere alle donne i propri diritti”.

Questo, mi auguro, sarà lo spirito che riempirà le piazze dei comuni marchigiani, creando le condizioni per la diffusione di molteplici forme di solidarietà politica e culturale, in grado di colmare il vuoto prodotto dalle forme della violenza. Le manifestazioni saranno costruite “attorno a due elementi portanti: l’invasione pacifica di cento sagome di donna a grandezza naturale che ridisegneranno il volto delle piazze ospitanti e una straordinaria maratona di lettura di storie di donne colpite dalla violenza e tratte dalla letteratura di tutti i tempi, a cui potranno liberamente aderire tutti i cittadini. La lettura collettiva sarà un modo diverso di far festa nel tentativo di generare una comunità umana consapevole”. Una lettura collettiva per una comunità umana consapevole.

Alessandro Colella

8.3.11

8 Marzo

Nel giorno in cui ricordarsi della donna diventa quasi un obbligo, che assume la tinta giallo intenso del solito consumismo, il Laboratorio Giovanile Sociale (LGS), in linea con le iniziative portate avanti sino ad oggi sulla questione femminile, vuole cogliere l’occasione per ribadire la necessità di dare vita a percorsi e spazi di riflessione e azione partecipati, per non lasciare che il dibattito sulle tematiche di genere si spenga in favore di false rivendicazioni e sterili moralismi.

Le conquiste della donna, a cominciare da quel voto tanto atteso dopo la seconda guerra mondiale e le rivendicazioni sessantottine e dei successivi anni settanta, sono l’emblema delle lotte per affermare la necessità di essere cittadine attive di un Paese, uguali davanti alle legge e portatrici degli stessi diritti. E’ proprio volgendo lo sguardo a quelle lotte che oggi più che mai stride una società che vanta diritti costituzionali impeccabili a fronte di un mancato riconoscimento sociale della donna. Una società in cui ci si affanna a ricercare la differenza tra il maschile e il femminile, dimenticando di dare spazio alla realizzazione della persona in quanto tale, alla possibilità di autodeterminarsi e di poter esprimere le proprie esigenze di felicità; termine scomparso dalla scena sociale e politica di questa Italia.

Oggi più che mai i dibattiti politici e sociali hanno bisogno di puntare l’attenzione non sulla divisione epocale e spocchiosa tra donne madri e per bene e donne immorali, bensì sulla necessità del rispetto e del riconoscimento della donna in quanto individuo. Un individuo che non ha riconoscimento sociale non esiste; non sente di essere parte attiva e fondamentale di un sistema, anche se la costituzione ne afferma i diritti fondamentali. A questo si associa una riflessione dovuta sul nostro sistema educativo e sul ruolo della donna, che si riflette nella famiglia, nella scuola e nel lavoro. Un sistema centrato sull’uomo e sull’eterna contrapposizione tra i sessi, nella quale la donna è “naturalmente” il soggetto inferiore. E allora non basta ricordare che la donna e l’uomo hanno pari dignità e pari diritti, occorre agire sul disincanto delle donne di oggi, consapevoli di non essere padrone del loro destino e delle loro rivendicazioni, poiché esse sembrano essere solo articoli splendidamente confezionati e impressi nelle pagine della Costituzione.

Le donne che scendono in piazza in questo tempo, per dire che ne hanno abbastanza, hanno il diritto di pretendere una società diversa e hanno la forza per ottenerla.

LGS

5.3.11

Il mondo arabo come laboratorio di sperimentazione politica

Proponiamo qua un articolo di Michael Hardt e Toni Negri, tratto dal Guardian del 24 Febbraio 2011.
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La sfida per gli osservatori delle insurrezioni in nord Africa e Medio Oriente è leggerle non tanto come ripetizioni del passato ma piuttosto come esperimenti che aprono nuove possibilità politiche per la libertà e la democrazia ben oltre la regione. In effetti, noi speriamo che attraverso questo ciclo di lotte il mondo arabo diventi nei prossimi decenni ciò che l’America Latina è stata nei decenni passati, ovvero un laboratorio di sperimentazione politica tra il potere dei movimenti sociali e i governi progressisti dall’Argentina al Venezuela, dal Brasile alla Bolivia.
Le rivolte hanno immediatamente fatto pulizia dell’ideologia e spazzato via ogni concezione razzista dello scontro di civiltà che assegna la politica araba al passato. Le moltitudini a Tunisi, il Cairo e Bengasi mandano in frantumi lo stereotipo politico secondo cui gli arabi sono costretti a scegliere tra dittature laiche e fanatiche teocrazie, o che i musulmani sono incapaci di libertà e democrazia. Anche il chiamare queste lotte “rivoluzioni” sembra trarre in inganno molti commentatori che assumono la progressione di eventi secondo la logica del 1789, del 1917 o di altre ribellioni del passato contro re e zar.
Le rivolte arabe si sono infiammate sul tema della disoccupazione e hanno avuto al centro le ambizioni frustrate di una gioventù che ha studiato nelle università – una popolazione che ha molto in comune con gli studenti che protestano a Londra e Roma. Sebbene la prima richiesta proliferata nel mondo arabo si è concentrata sulla fine della dittatura e dei governi autoritari, dietro questo grido stanno una serie di domande sociali rispetto al lavoro e alla vita; non solo la fine di dipendenza e povertà, ma anche per il potere e l’autonomia di una popolazione intellettuale e altamente competente. Che Ben Ali e Mubarak o anche Gheddafi lascino il potere è solo il primo passo.
Il modello di organizzazione delle rivolte sembra riprodurre ciò che abbiamo visto per decenni in altre parti del mondo, da Seattle a Buenos Aires, da Genova a Cochabamba: una rete orizzontale senza un leader centrale. Le organizzazioni tradizionali dell’opposizione possono prendere parte a questa rete ma non possono dirigerla. Gli osservatori stranieri hanno provato sin dall’inizio a nominare un leader per le rivolte egiziane: forse Mohamed ElBaradei, forse Wael Ghonim. Hanno paura che i Fratelli Musulmani o qualche altra organizzazione esistente possa prendere il controllo degli eventi. Quello che non capiscono è che la moltitudine è in realtà capace di organizzarsi senza un centro – che l’imposizione di un leader o la cooptazione nelle mani di un’organizzazione tradizionale minerebbe il potere della moltitudine. La diffusione nelle rivolte dell’uso dei social network come facebook, youtube e twitter, sono il sintomo e non la causa di questa struttura organizzativa. Queste sono le forme dell’espressione di una popolazione intellettuale capace di usare gli strumenti che ha a portata di mano per organizzarsi autonomamente.
Sebbene questi movimenti organizzati a rete rifiutino una leadership centrale, devono ciononostante consolidare le loro richieste in un nuovo processo costituente che lega i segmenti più attivi della ribellione con i desideri della popolazione nel suo insieme. Le insurrezioni della gioventù araba non mirano certamente ad una costituzione liberale di tipo tradizionale che garantisce semplicemente la divisione dei poteri e una normale dinamica elettorale, ma al contrario puntano ad una forma di democrazia adeguata alle nuove forme di espressione e ai nuovi bisogni della moltitudine. Questa deve includere, al primo posto, il riconoscimento costituzionale della libertà di espressione – non nella forma tipica dei media dominanti, che sono costantemente soggetti alla corruzione dei governi e delle élite economiche, ma come espressione delle esperienze comuni di reti relazionali.
Secondariamente, dato che queste sommosse sono state innescate non solo dalla diffusione di disoccupazione e povertà, ma anche da un generalizzato senso di frustrazione delle capacità produttive ed espressive, soprattutto tra i giovani, una risposta costituzionalmente radicale deve inventare uno schema comune per gestire le risorse naturali e la produzione sociale. Attraverso questa soglia il neoliberismo non può passare e lo stesso capitalismo è messo in discussione. Anche le regole islamiche sono completamente inadeguate a soddisfare tali esigenze. Su questo terreno, le insurrezioni non toccano soltanto gli equilibri del Nord Africa e del Medio Oriente ma anche il sistema della governance economica sul piano globale.
A partire da queste considerazioni la nostra speranza è che il ciclo di lotte che si sta diffondendo nel mondo arabo diventi nei prossimi decenni ciò che l’America latina è stata nei decenni passati, che possa ispirare movimenti politici e sollevare aspirazioni di libertà e democrazia al di là della regione. Ognuna di queste rivolte, certamente, può fallire: i tiranni possono lanciare una repressione sanguinaria, le giunte militari possono provare a rimanere al potere, i tradizionali gruppi di opposizione pilotare i movimenti e le gerarchie religiose lottare per prendere il controllo. Ma ciò che non morirà sono le rivendicazioni politiche e i desideri, le aspirazioni di una giovane generazione intellettuale ad una vita diversa in cui possono mettere a valore le proprie capacità. E finché queste rivendicazioni e desideri saranno in vita il ciclo di lotte continuerà. La questione è cosa questi nuovi esprimenti di libertà e democrazia insegneranno al mondo nei prossimi decenni.

1.3.11

Celestini: riprendiamoci le scuole, compagno Silvio!

Un tracciato politico valido per un sindacato studentesco, per un'associazione di professori, per un laboratorio...
Di Ascanio Celestini. Tratto da l'Unità del 1 marzo.
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Sono d'accordo con Berlusconi, la scuola pubblica ha "un'influenza deleteria" e propaganda "culture politiche, ideologie e interpretazioni della storia che non rispettano la verità", infatti mio figlio ha appena quattro anni e invece di avere un insegnante che gli parla in inglese ne ha una che gli fa religione. Qualcuno fin da quando andavo io a scuola diceva che l'insegnante di religione in realtà insegna "storia delle religioni" e allora perché non mandano un laureato in antropologia?

E poi perché un bambino di quattro anni (ma anche uno di dieci o dodici) dovrebbe studiare Ernesto De Martino o James Frazer? Infatti non lo fa. A scuola non si studia antropologia e gli insegnanti di religione non entrano nella scuola attraverso gli stessi canali dei loro colleghi. In più c'è un'altra distorsione ideologica che non mi piace nella scuola (pubblica o privata) ed è la presenza di un solo insegnante: uno per tutti e cinque gli anni alle elementari e comunque uno alla volta negli anni successivi.

Quando un individuo, anche se adulto, preparato e intelligente, si pone da solo davanti a un gruppo finisce per diventare autoritario. Credo che nella scuola ci debba essere maggior presenza di insegnanti per evitare l'autoritarismo a favore dell'autorevolezza. Basta entrare in una classe e senza la presenza degli studenti ci accorgiamo che la disposizione stessa dei banchi rispetto alla cattedra pone gli studenti uno scalino al di sotto rispetto all'insegnante. Per non parlare poi delle condizioni degli edifici scolastici che spesso sono al limite (o oltre) delle condizioni di agibilità. Nel liceo statale che frequentavo io non c'era né palestra, né aula magna, né scale di sicurezza.

Non serviva sabotare la scuola o telefonare per dire che c'era una bomba: bastava chiamare i pompieri. In più la scuola pubblica è ancora troppo chiusa su se stessa, mentre dovrebbe essere un presidio di civiltà aperto alla cittadinanza. All'uscita degli studenti dovrebbe seguire l'entrata dei cittadini che potrebbero frequentare la scuola per corsi, incontri, assemblee e anche spettacoli e dibattiti o persino per motivi ludici.

Nella borgata in cui abito io non c'è¨ né il verde pubblico, né un vero luogo di incontro che non sia privato e a pagamento come la pizzeria o il bar: se la scuola media e elementare si aprissero a tutti noi cittadini credo che sarebbe un grande passo avanti. Dunque sono d'accordo col Presidente Berlusconi: questa scuola è ancora troppo legata a una cultura di destra che la vede come un parcheggio o al massimo un diplomificio.

Riprendiamoci le scuole, compagno Silvio! Lasciamo che la scuola privata cammini orgogliosamente sulle sue gambe e non imbrogliamola col solito assistenzialismo pubblico. Sono sicuro che Bagnasco sarà d'accordo con noi. Dare i soldi ai preti significa assoggettarli e noi vogliamo una libera Chiesa in un libero Stato.