Riportiamo, a seguire, il contributo del workshop sulla conoscenza tenuto nel Meeting "Uniti contro la crisi" di Marghera il 22-23 gennaio.
Un contributo, collettivo, per una riappropriazione sociale del sapere come bene comune.
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Le mobilitazioni studentesche anti-Gelmini, le lotte dei precari della scuola e dell'università, le iniziative di lavoratrici e lavoratori della cultura e dello spettacolo hanno progressivamente allargato i confini di una rivolta dell’intelligenza sociale nel suo complesso contro una gestione padronale e governativa della crisi che, nel nostro Paese, ha scelto la linea del disinvestimento nel campo della formazione, della ricerca, della produzione culturale. In positivo, i conflitti degli ultimi mesi indicano come proprio questi soggetti sociali – in stretta connessione con tutti i soggetti del lavoro vivo – siano diventati protagonisti di una battaglia che pone la condivisione del sapere, la sua socializzazione, la cooperazione costruita intorno ad esso, al cuore dei processi di liberazione di tutti e di ciascuno.
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Il partecipatissimo workshop dal titolo "Democrazia e saperi come bene comune: verso gli Stati Generali della conoscenza", ha consentito di mettere insieme idee, proposte, analisi fatte da studenti, ricercatori, cittadine e cittadini, con l'obiettivo di fermarsi a riflettere, anzi, di riflettere per non fermarsi.
Abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo una delle più straordinarie esperienze che il movimento studentesco abbia mai prodotto. L'autunno del 2010, nelle nostre scuole e nelle nostre università, è stato indubbiamente il più intenso degli ultimi anni, e non si è ancora concluso. Una quantità enorme di studenti, di dottorandi, di precari, di lavoratori tecnici-amministrativi, di ricercatori è scesa in piazza da ottobre in poi, dando vita a momenti di partecipazione, di mobilitazione e di lotta che ci hanno coinvolto fino in fondo, giorno e notte, per settimane.
Ora, dopo l'approvazione della riforma Gelmini, abbiamo il dovere di prenderci il tempo e il modo di riflettere. Questo movimento ha già dimostrato, non solo nella rivolta del 14 dicembre, giornata della sfiducia dal basso del governo Berlusconi, ma anche durante i blocchi e le manifestazioni del 22 dicembre, di essere in grado di andare ben oltre le date canoniche di mobilitazione autunnale.
Questo momento di riflessione, ben lungi dal voler imporre una direzione o delle scelte precostituite al movimento, intende contribuire al dibattito in corso fornendo spunti di discussione, analisi ed elaborazione, nati dal dialogo tra le molte realtà studentesche che, a partire dall'appello “Uniti contro la crisi” dello scorso ottobre, hanno lavorato intensamente per la costruzione di uno spazio comune tra le mobilitazioni in difesa dei saperi, del lavoro e dei beni comuni.
È emersa la necessità di approfondire il profilo di analisi di cui il movimento è dotato. Qual è il ruolo dei saperi nella crisi economica, sociale, ambientale e politica che stiamo vivendo? Come ci immaginiamo, dal punto di vista della struttura e da quello dei contenuti, una formazione scolastica e universitaria libera dai condizionamenti del mercato? Quali strumenti ci permetteranno di affrontare la stretta autoritaria imposta agli atenei dalla riforma Gelmini e di rilanciare sul piano della partecipazione? Come possiamo immaginare e costruire pratiche di apprendimento, di ricerca e di welfare capaci di rovesciare la situazione attuale? Questi sono solo alcuni degli spunti emersi per animare il dibattito nel mondo della scuola, dell'università e della ricerca nei prossimi mesi.
Tutti gli interventi si sono soffermati sulla necessità di evitare un ripiegamento su scuola e università e di rilanciare, invece, l'analisi su ciò che tiene insieme le lotte degli studenti, dei lavoratori, delle comunità territoriali. Il merito delle mobilitazioni di questi mesi è stato, prima di tutto, quello di aver riaperto uno spazio di opportunità e legittimità per il conflitto sociale, lo spazio per una democrazia prodotta dal basso nei luoghi della formazione e del lavoro, nelle strade e nelle piazze, fuori da un sistema politico bloccato, sempre meno capace di confrontarsi con ciò che si muove nella società.
Abbiamo saputo cogliere il disegno comune che unisce la riforma Gelmini dell'università con i diktat di Marchionne nell'industria: la crisi è utilizzata come opportunità per abbattere il sistema pubblico della formazione e della ricerca, il contratto nazionale di lavoro (tramite il ricatto della delocalizzazione e il collegato lavoro), per eliminare, nell'attacco ai diritti e ai saperi, le basi materiali di ogni democrazia. Abbiamo saputo cogliere il nesso che fa della concezione della conoscenza come risorsa scarsa lo strumento che consegna la nostra generazione alla schiavitù della precarietà. Abbiamo saputo produrre nello stesso tempo, pratiche di conflitto, consenso generalizzato e nuovi linguaggi, affrontando il tema delle lotte dei lavoratori non in termini di mera solidarietà, bensì di costruzione di un comune percorso di resistenza. Ricomporre le soggettività disperse dalla crisi e dalle forme di sfruttamento contemporaneo diventa in questo momento un obiettivo decisivo, che abbiamo intenzione di percorrere fino in fondo. Per questo il 28 gennaio anche gli studenti e i precari parteciperanno allo sciopero dei metalmeccanici proclamato dalla Fiom,
Dalla battaglia contro la riforma Gelmini è scaturito un movimento ben più ampio, che è stato in grado di porre la questione generazionale come questione sociale, tenendo insieme la battaglia in difesa di scuola, università e ricerca con un più ampio percorso di lotta alla precarietà e di costruzione di un nuovo welfare universale, in grado di reclamare reddito, misura decisiva per affrontare il mutamento avvenuto nella produzione e nel lavoro, sul piano della cittadinanza.
Molti tra i partecipanti al workshop hanno invitato il movimento a perseguire questa strada fino in fondo, ponendosi il problema della costruzione dell'alternativa.
Dopo l'approvazione della riforma Gelmini, come si può evitare che il dibattito sull'università, sulla condizione studentesca e sul ruolo dei saperi nella nostra società venga repentinamente messo da parte? È stata ribadita la necessità di continuare la battaglia contro la riforma, sia a livello nazionale, tramite un'opera di monitoraggio costante e di mobilitazione in occasione del varo dei decreti delegati (in particolari riguardanti il diritto allo studio), sia a livello locale, dando battaglia per contrastare l'ingresso dei privati nei consigli di amministrazione e la precarizzazione della ricerca all'interno degli statuti d'ateneo, e cogliendo l'occasione per proporre ed imporre un modello alternativo di università, sulla cui definizione il movimento deve interrogarsi e confrontarsi nel modo più ampio e partecipato, coinvolgendo tutti i soggetti in mobilitazione. Le proposte in campo sono molte, come i possibili strumenti per agire sul lavoro delle commissioni: elezione democratica delle commissioni, monitoraggio costante, assemblee periodiche, possibili consultazioni referendarie dal basso. Sull'eventualità di un referendum abrogativo, proposta da alcuni, il dibattito deve ancora proseguire. Se da una parte il referendum potrebbe costituire un'occasione attraverso la quale riprendersi la possibilità di decidere sull'università (seguendo l'esperienza del movimento per l'acqua bene comune), dall'altra rischia di non individuare proposte di cambiamento in grado di andare oltre la riforma e produrre una trasformazione reale.
La situazione delle scuole, d'altro canto, era fin dall'inizio caratterizzata da una 'riforma' a regime, ma soprattutto dai tagli di finanziamenti e personale che hanno aggravato le condizioni materiali degli studenti dentro e fuori i luoghi di formazione. Gli studenti medi hanno avuto quindi assieme l'onere e la grande opportunità di andare oltre l'idea di scuola che il Governo Berlusconi (e non solo) ha messo in pratica in questi anni. L'onere, perché inevitabilmente è stato difficile spiegare che quella che si stava iniziando non era una battaglia già persa in partenza. La grande opportunità, perché si è trattato non solo di immaginare, di condividere e di mettere in pratica un modello 'altro' di scuola e di diritto allo studio, ma anche di ricostruire dei nessi dentro il mondo della formazione.
Questa necessità inevitabilmente si intreccia con la rivendicazione di un accesso al sapere che vada oltre i concetti di merito e di welfare familista e con la netta contrarietà a quei provvedimenti che tendono a distruggere l'obbligo scolastico creando vaste aree 'grigie' di apprendistato-schiavitù.
La battaglia sulla conoscenza, del resto, non si limita agli studenti: alla discussione hanno partecipato dottorandi, insegnanti, precari, ricercatori e lavoratori dello spettacolo, che hanno posto l'accento sulla necessità di costruire un fronte comune di elaborazione, in grado di rendere visibili le fabbriche dell'immateriale. In questo quadro, la Flc ha rilanciato la proposta di “stati generali della conoscenza”, e andrà verificata la possibilità di intrecciare questo percorso con quelli che il movimento determinerà in maniera autonoma.
Immaginare e costruire un'università che sappia mettersi al servizio di un'uscita dalla crisi sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale è un obiettivo considerato prioritario da tutti i partecipanti al seminario.
Tenere insieme la battaglia per fermare la riforma negli atenei con il dibattito generale sul nuovo modello di università e con le mobilitazioni sociali a difesa di lavoro e beni comuni è la sfida che ci aspetta. Tale sfida, d'altra parte, non può limitarsi ai confini nazionali: molti interventi hanno sottolineato l'esigenza di organizzare un meeting europeo, in grado di porre le basi per intrecciare analisi e mobilitazioni contro l'austerità sul piano continentale, che sia in grado di connettere i conflitto disseminati – ma che utilizzano linguaggi e pratiche comuni - che si sono espressi in tutta Europa.
Abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo una delle più straordinarie esperienze che il movimento studentesco abbia mai prodotto. L'autunno del 2010, nelle nostre scuole e nelle nostre università, è stato indubbiamente il più intenso degli ultimi anni, e non si è ancora concluso. Una quantità enorme di studenti, di dottorandi, di precari, di lavoratori tecnici-amministrativi, di ricercatori è scesa in piazza da ottobre in poi, dando vita a momenti di partecipazione, di mobilitazione e di lotta che ci hanno coinvolto fino in fondo, giorno e notte, per settimane.
Ora, dopo l'approvazione della riforma Gelmini, abbiamo il dovere di prenderci il tempo e il modo di riflettere. Questo movimento ha già dimostrato, non solo nella rivolta del 14 dicembre, giornata della sfiducia dal basso del governo Berlusconi, ma anche durante i blocchi e le manifestazioni del 22 dicembre, di essere in grado di andare ben oltre le date canoniche di mobilitazione autunnale.
Questo momento di riflessione, ben lungi dal voler imporre una direzione o delle scelte precostituite al movimento, intende contribuire al dibattito in corso fornendo spunti di discussione, analisi ed elaborazione, nati dal dialogo tra le molte realtà studentesche che, a partire dall'appello “Uniti contro la crisi” dello scorso ottobre, hanno lavorato intensamente per la costruzione di uno spazio comune tra le mobilitazioni in difesa dei saperi, del lavoro e dei beni comuni.
È emersa la necessità di approfondire il profilo di analisi di cui il movimento è dotato. Qual è il ruolo dei saperi nella crisi economica, sociale, ambientale e politica che stiamo vivendo? Come ci immaginiamo, dal punto di vista della struttura e da quello dei contenuti, una formazione scolastica e universitaria libera dai condizionamenti del mercato? Quali strumenti ci permetteranno di affrontare la stretta autoritaria imposta agli atenei dalla riforma Gelmini e di rilanciare sul piano della partecipazione? Come possiamo immaginare e costruire pratiche di apprendimento, di ricerca e di welfare capaci di rovesciare la situazione attuale? Questi sono solo alcuni degli spunti emersi per animare il dibattito nel mondo della scuola, dell'università e della ricerca nei prossimi mesi.
Tutti gli interventi si sono soffermati sulla necessità di evitare un ripiegamento su scuola e università e di rilanciare, invece, l'analisi su ciò che tiene insieme le lotte degli studenti, dei lavoratori, delle comunità territoriali. Il merito delle mobilitazioni di questi mesi è stato, prima di tutto, quello di aver riaperto uno spazio di opportunità e legittimità per il conflitto sociale, lo spazio per una democrazia prodotta dal basso nei luoghi della formazione e del lavoro, nelle strade e nelle piazze, fuori da un sistema politico bloccato, sempre meno capace di confrontarsi con ciò che si muove nella società.
Abbiamo saputo cogliere il disegno comune che unisce la riforma Gelmini dell'università con i diktat di Marchionne nell'industria: la crisi è utilizzata come opportunità per abbattere il sistema pubblico della formazione e della ricerca, il contratto nazionale di lavoro (tramite il ricatto della delocalizzazione e il collegato lavoro), per eliminare, nell'attacco ai diritti e ai saperi, le basi materiali di ogni democrazia. Abbiamo saputo cogliere il nesso che fa della concezione della conoscenza come risorsa scarsa lo strumento che consegna la nostra generazione alla schiavitù della precarietà. Abbiamo saputo produrre nello stesso tempo, pratiche di conflitto, consenso generalizzato e nuovi linguaggi, affrontando il tema delle lotte dei lavoratori non in termini di mera solidarietà, bensì di costruzione di un comune percorso di resistenza. Ricomporre le soggettività disperse dalla crisi e dalle forme di sfruttamento contemporaneo diventa in questo momento un obiettivo decisivo, che abbiamo intenzione di percorrere fino in fondo. Per questo il 28 gennaio anche gli studenti e i precari parteciperanno allo sciopero dei metalmeccanici proclamato dalla Fiom,
Dalla battaglia contro la riforma Gelmini è scaturito un movimento ben più ampio, che è stato in grado di porre la questione generazionale come questione sociale, tenendo insieme la battaglia in difesa di scuola, università e ricerca con un più ampio percorso di lotta alla precarietà e di costruzione di un nuovo welfare universale, in grado di reclamare reddito, misura decisiva per affrontare il mutamento avvenuto nella produzione e nel lavoro, sul piano della cittadinanza.
Molti tra i partecipanti al workshop hanno invitato il movimento a perseguire questa strada fino in fondo, ponendosi il problema della costruzione dell'alternativa.
Dopo l'approvazione della riforma Gelmini, come si può evitare che il dibattito sull'università, sulla condizione studentesca e sul ruolo dei saperi nella nostra società venga repentinamente messo da parte? È stata ribadita la necessità di continuare la battaglia contro la riforma, sia a livello nazionale, tramite un'opera di monitoraggio costante e di mobilitazione in occasione del varo dei decreti delegati (in particolari riguardanti il diritto allo studio), sia a livello locale, dando battaglia per contrastare l'ingresso dei privati nei consigli di amministrazione e la precarizzazione della ricerca all'interno degli statuti d'ateneo, e cogliendo l'occasione per proporre ed imporre un modello alternativo di università, sulla cui definizione il movimento deve interrogarsi e confrontarsi nel modo più ampio e partecipato, coinvolgendo tutti i soggetti in mobilitazione. Le proposte in campo sono molte, come i possibili strumenti per agire sul lavoro delle commissioni: elezione democratica delle commissioni, monitoraggio costante, assemblee periodiche, possibili consultazioni referendarie dal basso. Sull'eventualità di un referendum abrogativo, proposta da alcuni, il dibattito deve ancora proseguire. Se da una parte il referendum potrebbe costituire un'occasione attraverso la quale riprendersi la possibilità di decidere sull'università (seguendo l'esperienza del movimento per l'acqua bene comune), dall'altra rischia di non individuare proposte di cambiamento in grado di andare oltre la riforma e produrre una trasformazione reale.
La situazione delle scuole, d'altro canto, era fin dall'inizio caratterizzata da una 'riforma' a regime, ma soprattutto dai tagli di finanziamenti e personale che hanno aggravato le condizioni materiali degli studenti dentro e fuori i luoghi di formazione. Gli studenti medi hanno avuto quindi assieme l'onere e la grande opportunità di andare oltre l'idea di scuola che il Governo Berlusconi (e non solo) ha messo in pratica in questi anni. L'onere, perché inevitabilmente è stato difficile spiegare che quella che si stava iniziando non era una battaglia già persa in partenza. La grande opportunità, perché si è trattato non solo di immaginare, di condividere e di mettere in pratica un modello 'altro' di scuola e di diritto allo studio, ma anche di ricostruire dei nessi dentro il mondo della formazione.
Questa necessità inevitabilmente si intreccia con la rivendicazione di un accesso al sapere che vada oltre i concetti di merito e di welfare familista e con la netta contrarietà a quei provvedimenti che tendono a distruggere l'obbligo scolastico creando vaste aree 'grigie' di apprendistato-schiavitù.
La battaglia sulla conoscenza, del resto, non si limita agli studenti: alla discussione hanno partecipato dottorandi, insegnanti, precari, ricercatori e lavoratori dello spettacolo, che hanno posto l'accento sulla necessità di costruire un fronte comune di elaborazione, in grado di rendere visibili le fabbriche dell'immateriale. In questo quadro, la Flc ha rilanciato la proposta di “stati generali della conoscenza”, e andrà verificata la possibilità di intrecciare questo percorso con quelli che il movimento determinerà in maniera autonoma.
Immaginare e costruire un'università che sappia mettersi al servizio di un'uscita dalla crisi sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale è un obiettivo considerato prioritario da tutti i partecipanti al seminario.
Tenere insieme la battaglia per fermare la riforma negli atenei con il dibattito generale sul nuovo modello di università e con le mobilitazioni sociali a difesa di lavoro e beni comuni è la sfida che ci aspetta. Tale sfida, d'altra parte, non può limitarsi ai confini nazionali: molti interventi hanno sottolineato l'esigenza di organizzare un meeting europeo, in grado di porre le basi per intrecciare analisi e mobilitazioni contro l'austerità sul piano continentale, che sia in grado di connettere i conflitto disseminati – ma che utilizzano linguaggi e pratiche comuni - che si sono espressi in tutta Europa.
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