Proponiamo un articolo interessante uscito su Carta pochi giorni fa, che ben si inserisce nel percorso sui beni comuni che il Laboratorio sta per affrontare. Tra l'altro, l'autore - Paolo Cacciari - sarà a Macerata il 31 maggio per presentare il suo ultimo libro ("La società dei beni comuni"), nell'ultima iniziativa di "Costruire bene Comune".
Si sta avvicinando lo sciopero generale [e generalizzato, speriamo] del 6 maggio. Un appuntamento fortemente voluto dalla Fiom. In molte città si sono costituiti comitati Uniti contro la crisi e per lo sciopero generale.
Uno degli aspetti più innovativi [e controversi] delle mobilitazioni dei metalmeccanici dopo Pomigliano e Mirafiori è stato lo slogan «Lavoro bene comune». Di impatto immediato e di facile percezione, è un altro modo di dire: «il lavoro non è una merce». Una affermazione in controtendenza rispetto al processo di individualizzazione del lavoro e di privatizzazione del rapporto di lavoro. Già Karl Polany [1886–1964, l’autore de La grande trasformazione] scriveva che terra [risorse naturali] e lavoro umano sono «merci fittizie», nel senso che non sono «prodotti» in senso proprio da nessuna impresa capitalistica e quindi nessuno se ne può impadronire, comprare e vendere a suo piacimento. Ma non solo. Riconoscere e rivendicare il lavoro come bene comune contiene una proposta in positivo: sottrarre la «forza lavoro» alla disponibilità del mercato e delle sue logiche [sfruttamento al minimo costo, precarizzazione, concorrenza tra lavoratori…] e, contemporaneamente, assegnare al lavoro una funzione sociale generale.
«Lavoro come bene comune» significa considerare il lavoro un patrimonio sociale collettivo, connotato da diritti di cittadinanza e democrazia. Lo stesso valore monetario del lavoro è solo il prezzo simbolico, convenzionale, derivato dal posto che la società decide di attribuirgli. Mani, cervello e tempo, non sono pinze, calcolatori e orologio marcatempo. Sono abilità, pensiero, sentimenti, vita.
Il lavoro può uscire da una dimensione esclusivamente individuale e privata e diventare un «bene comune» solo all’interno di un processo in cui assume alcune specificazioni qualitative. Se si realizzano almeno tre condizioni. Ricordava Friedrich Schumacher [Piccolo è bello, prima edizione del 1973, ora riedito da Slow Food] che la funzione del lavoro è triplice: «dare all’uomo una opportunità di utilizzare e sviluppare le sue facoltà; metterlo in condizione di superare il suo egoismo unendosi ad altri in un’impresa comune; infine, produrre i beni e i servizi necessari a un’esistenza degna». Vediamo in dettaglio queste tre condizioni.
Primo. Il lavoro è parte costitutiva dell’autorealizzazione dell’essere umano. Il lavoro può definirsi un bene solo se si fonda sulla dignità del lavoratore e produce un ritorno di appagamento e di gratificazione in chi lo ha svolto perchè adeguato alle aspirazioni e alle capacità di ciascuno. Il prodotto, il frutto del lavoro, non può essere considerato più importante del lavoratore stesso. Diceva sempre Schumacher: «organizzare il lavoro in modo che perda ogni significato, diventando noioso, degradante o una tortura per i nervi del lavoratore sarebbe poco meno che criminale». Quello che già prima Erich Fromm chiamava «robotismo» della società moderna. «L’impossibilità di progettare il proprio futuro, condanna i lavoratori ad essere soggetti ansiosi, angosciati, smarriti: soggetti la cui esistenza è deturpata dall’incertezza permanente cui sono soggetti» [Mario Alcano, La società-azienda e la biopolitica, in Critica Marxista, 2011]. Per contro, il «lavoro buono» è quello che restituisce soddisfazione a chi lo compie bene.
Secondo. Il lavoro è un bene comune se viene svolto in cooperazione virtuosa, in mutua, creativa e affettuosa collaborazione [non con rivalità] tra tutti coloro che in un modo o in un altro concorrono alla realizzazione dei prodotti. Il lavoro continua a essere lo spazio principale di socializzazione di gran parte degli individui. Si apre qui tutto il campo teorico e sperimentale delle forme di co-decisione e di partecipazione dei lavoratori alle decisioni economiche e aziendali.
Terzo. Il lavoro ha una funzione sociale e diventa un bene sociale comune se è finalizzato alla produzione di manufatti e servizi capaci di soddisfare i bisogni vitali degli individui, quindi utili al miglioramento della vita e delle condizioni della vita su questo pianeta. L’utilità effettiva di un prodotto-merce non è quasi mai determinata dal gioco del mercato. Le attività lavorative devono far proprie e devono essere orientate a risolvere le sfide epocali che l’umanità ha di fronte: la sostenibilità ambientale [quindi evitare il suicidio della specie umana], la lotta alla povertà [quindi il contenimento demografico], l’equità [quindi la giustizia e la democrazia sociale]. Gli obiettivi di rientro nella sostenibilità ambientale e quelli per la dignità del lavoro, devono poter essere posi al centro dell’organizzazione del lavoro e delle politiche economiche.
Per le iniziative di Costruire bene Comune: http://lgsmacerata.blogspot.com/2011/04/iniziative-costruire-bene-comune.html
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