28.2.11

Gaza, soldati israeliani uccidono tre palestinesi al confine.

Articolo tratto da PeaceReporter, scritto da Vittorio Arrigoni, militante per i diritti umani da Gaza.

Per i palestinesi stavano estraendo ghiaia. Per Israele stavano piantando esplosivi.
Soldati israeliani hanno ucciso la notte scorsa la tre giovani palestinesi nella Striscia di Gaza. Lo riferiscono fonti sanitarie locali.
Secondo i palestinesi, i tre stavano estraendo ghiaia da un ex insediamento israeliano a ovest di Beit Lahiya, nel nord della Striscia.
Fonti militari israeliane hanno dichiarato invece che i tre sono stati uccisi mentre tentavano di infiltrarsi in Israele, apparentemente per piantare ordigni esplosivi.
Testimoni locali riferiscono di aver udito il suono di fucili mitragliatori e che nell'operazione è stato impiegato anche un elicottero.
Nessun gruppo militante palestinese ha rivendicato i morti come suoi membri. I tre avevano 20, 25 e 29 anni e facevano i pescatori.
Israele ha imposto una zona cuscinetto di trecento metri oltre il confine con Gaza per distanziare i militanti dalle sue truppe e torri di sorveglianza.

26.2.11

"La prova del miele" di Salwa Al-Neimi

Ringraziamo Martina e la libreria Leggimi di Ancona, da cui riprendiamo la recensione del seguente libro, che segue quelle delle passate settimane sulla questione di genere...


Questo libro è breve, incisivo e denso. Forse sarebbe riduttivo catalogarlo come libro erotico. A scriverlo è una donna, e araba per di più: una poetessa siriana che vive a Parigi. Una voce fuori dal coro, molto coraggiosa che non esita ad iniziare il suo testo con queste parole: "C'è chi porta con ...sé il ricordo degli animi. Io porto con me il ricordo dei corpi. Non conosco la mia anima, né quella degli altri. Conosco il mio corpo, conosco i loro corpi. E mi basta".
La voce di Salwa Al-Neimi è chiara e ben distinta e si esprime attraverso la protagonista del libro. Una donna che non sopporta quel nebuloso e falso perbenismo che circonda la sessualità del mondo femminile, arabo e non solo. Non sopporta di dover aspettare un'autorizzazione, terrena o celeste che sia, per concedersi ai suoi uomini. Non sopporta tante cose. Non sopporta tanti uomini e tante donne.Ma ama il sesso, ama la conoscenza del sesso, alimentata dalla attenta lettura di antichi testi di letteratura araba erotica e ama dirlo. Apertamente, senza filtri, con competenza e cognizione di causa. Finalmente, dopo tanto silenzio e troppi segreti, può parlare. Ed è quasi un grido quello che emerge dal testo, non esasperato o istintivo, ma consapevole ed appassionato. E non poteva essere altrimenti.
Si può essere d'accordo o meno con Salwa Al-Neimi: certi suoi assunti non sono condivisibili in toto o appaiono quanto meno estremi. Ma non si può certamente dubitare della verità delle sue parole: parole profondamente sentite e vissute, in primo luogo dal suo corpo di donna libera. Della stessa autrice si segnala anche "Il libro dei segreti", uscito per Feltrinelli nel settembre del 2010.
Cos'è la Libreria 'Leggimi':
Le altre proposte di lettura del Laboratorio Giovanile Sociale: http://lgsmacerata.blogspot.com/search/label/Libri

23.2.11

Sciopero generale: un momento storico.

Quanto sta avvenendo nei Paesi dell'Africa del Nord ci interroga sulla fase storica che stiamo vivendo e sulle strategie da mettere in campo per mutare profondamente il nostro regime politico-economico.
La richiesta di diritti sul lavoro e la difesa del contratto nazionale di lavoro in Italia e quella di occupazione e reddito in Tunisia.
Gli scioperi di Mirafiori e Pomigliano, le manifestazioni del 16 ottobre e del 28 gennaio, la Fiom, e quelle dei comitati nordafricani in mobilitazione.
Le battaglie per un nuovo welfare e una riforma del lavoro e quelle per l'abbassamento del prezzo del pane.
Le piazze piene per una democrazia radicale e una riforma del sistema politico, e quelle contro le dittature.

Da almeno 40 anni non si ponevano le basi per una mobilitazione globale in grado di determinare, su terreni culturali e sociali differenziati seppur sempre più integrati, una modifica alla struttura sociale e politica di radicale profondità.
Nel nostro Paese, e in tutto l'Occidente, l'impianto di produzione culturale sta imponendo una ricostruzione dei fatti che circoscrive all'area del bacino meridionale del Mediterraneo i conflitti, risolti e limitati a richieste di democrazia (à la americana!) e destituzione di dittatori. Questo racconto non solo rimuove alcune questioni cruciali (il rapporto con Ben Alì, Mubarak, Gheddafi, il ruolo coloniale e post-coloniale giocato dalle forze transnazionali e finanziarie, le asimmetrie degli accordi, il ruolo giocato dalla fortezza UE in questi anni) ma ci spinge a volgere, e là fermare, il nostro sguardo oltremare, velando i nessi esistenti tra la crisi di sistema di quei Paesi e le distorsioni e forzature presenti nel nostro.
Le rivolte messe in moto via internet dagli studenti e studentesse algerin*, quelle de* lavoratori/trici di quel cognitivo che sempre più si fa spazio anche in Africa, quelle dei padri e delle madri di famiglia che esigono garanzie e sicurezza, oltre che autodeterminazione, sono strettamente collegate ed hanno le stesse radici delle nostre.

Per questi motivi (senza dubbio da approfondire e articolare ulteriormente) oggi c'è urgenza di uno SCIOPERO GENERALE, inteso come MOBILITAZIONE NAZIONALE A OLTRANZA DEI LAVORATORI E DEI DISOCCUPATI, DEGLI STUDENTI E DEL MONDO DELLA CULTURA, DELLE DONNE E DELLA SOCIETA' CIVILE, dando vita ad una rifondazione della società e del sistema politico di rappresentanza partendo da alcuni punti chiari:

-reddito di cittadinanza;
-tassa sulle delocalizzazioni;
-rimozione della legge Ronchi per la privatizzazione dell'acqua e di quella Gelmini sull’Università;
-STOP al finanziamento agli aerei F-35 e ritiro delle truppe dall'Afghanistan;
-riforma locale e nazionale del sistema elettorale;
-legge sul conflitto d'interessi e per il limite di legislature;

Convocare con queste intenzioni uno sciopero generale (magari internazionalizzato), potrebbe avere un effetto dirompente e testimonierebbe di una consapevolezza storica notevole.
Stefano

22.2.11

Leggimi, un 'luogo altro' ad Ancona...

Dedichiamo questo post alla Libreria Leggimi, nata due mesi or sono ad Ancona all'interno del centro commerciale di Torrette. Uno dei sempre più diffusi "luoghi altri", che costruiscono cultura dal basso, intessono saperi, mettono assieme comunità nuove, praticano forme di rEsistenza; in questo caso, partendo dalle donne, dai bambini e dai libri.
Nei prossimi giorni, speriamo nei prossimi mesi, pubblicheremo alcune delle recensioni che Martina, responsabile della libreria, ha fatto di testi recenti: libri che si intrecciano con le proposte di lettura fatte nei mesi scorsi dal Laboratorio...
-
Libreria 'Leggimi'

Un luogo che nasce da tanta passione, da una buona dose di coraggio e spregiudicatezza, dal desiderio di esprimere il piacere della lettura per grandi, bambine e bambini.
Un luogo che nasce dalla collaborazione, dall'aiuto, dal sostegno di tante persone che ancora, nonostante tutto, credono nel
valore di una cultura aperta ed accogliente.
Un luogo che vorrebbe ascoltare la diversità di ognuno, e che raccontando il mondo da più prospettive possibili, si propone di parlare a quante più persone possibili.
Un luogo di studio, dialogo e partecipazione...o per lo meno così speriamo; o per lo meno così vorremmo che fosse, attraverso laboratori e attività che verranno presto organizzati.
Un luogo che desidera non svendere ma mettere in luce e raccontare la sensibilità artistica femminile, nelle sue infinite sfaccettature, disperse in pagine e oggetti di tutto il mondo.
Un posto che vorrebbe parlare ai bambini. Perché crede nella loro forza, nella loro energia, nella loro anima creativa, nella loro incantata saggezza.
Un posto che vi dà il benvenuto, che vi ringrazia per esserci, che spera di fare presto una chiacchierata con voi, tra un libro e una collana di perline....
Grazie a tutti. Di cuore.

18.2.11

Concerto Guccini!!!

Ciao a tutti,
stiamo cercando di organizzare una corriera che parta da Macerata per il concerto di Guccini dell'8 aprile ad Ancona.
Chi fosse interessato può trovare maggiori informazioni sulla pagina facebook "Corriera concerto Guccini (AN)".
A presto!

16.2.11

Il segreto delle donne

di Norma Rangeri, direttrice del Manifesto

Ci sono momenti in cui è necessario farsi vedere anche dai ciechi. Così eccole le donne date per disperse, eccole nelle piazze stracolme, con molti uomini, nessun moralismo contro le prostitute di Arcore, senza bandiere di partito, contro Berlusconi, obiettivo numero uno ma, a seguire, contro molti altri democratici esemplari del suo sesso. L'impetuosa marea è stata, altro fatto inedito, alimentata da una discussione larga che l'ha rafforzata. Le donne sono fatte così: discutono ma curano le radici, affilano la critica ma costruiscono relazioni e quando è il momento di dare una scossa scatenano il terremoto.La forza dei numeri e la ricchezza dei contenuti hanno prodotto un evento politico che può stupire solo chi non ha mai capito molto del femminismo italiano. Le donne in piazza hanno mostrato che le trovi là dove sono sempre state, nella società e nella cultura, dentro e fuori la famiglia, dentro e soprattutto fuori i partiti. Una lezione a questa classe dirigente (dalla politica all'informazione) che reagisce solo davanti alle piazze piene. Era stupefacente, nel day-after, scoprire gli autorevoli giornaloni nazionali "aprire", per una volta nella loro centenaria storia, con le ragioni del paese anziché con le convulsioni del palazzo. Anche se poi lo stile, di commenti e cronache, non riusciva proprio a evitare il "colore", l'ironico ammiccamento a quella sconosciuta dell'università Virginia Wolf (fondatrice di uno dei centri più importanti della storia del femminismo italiano) salita sul palco.Non avremmo avuto la folla straripante del 13 febbraio senza la sedimentazione di una cultura politica forte e sempre attiva, nella riflessione come nella quotidiana esperienza di vita. Non avremmo avuto discorsi e domande dove sempre si recitano comizi e slogan. Dal palco arrivano le parole di tutte le altre. Parlano del corpo di Ruby come dell'economia che ci sgoverna, delle responsabilità della sinistra, del potere maschile. L'attrice, la studentessa, la poetessa, la suora raccontano le esperienze dolorose delle persone.Berlusconi accusa le manifestanti di essere "faziose", perché le vere donne possono solo amarlo. I berlusconiani in mutande alimentano questo surreale delirio, le ministre cooptate dal sultano balbettano di piazze «radical-chic». Radicali di sicuro e chic non è un peccato, né un reato. Bersani invece applaude alla grande prova di democrazia, spera che «sia colta la voce arrivata dalla piazza». Sarebbe ora perché la campana suona anche per lui.Le donne hanno un paese caricato sulle proprie spalle (anche prima dell'era berlusconiana), sanno che di questi partiti non possono fidarsi, forse hanno delegato troppo a una rappresentanza sempre più asfittica e povera, chiedono un'opposizione all'altezza del disastro in cui siamo. Sono consapevoli della necessità di far fronte tanto alle macerie del berlusconismo quanto alle sconfitte della sinistra. Le manifestazioni segnalano la presenza di un soggetto che spinge per cambiare l'agenda politica. Naturalmente mandando a casa Berlusconi, ma non solo lui.

14.2.11

Vorrei cambiare la società

Vorrei chiedere a chi non fa niente e parla di rivoluzione come vuole cambiare la società...
Vorrei chiedere a un egiziano come si cambia, la società...
Vorrei chiedere a chi fa politica nell'Università, se pensa davvero di cambiare la società...
Vorrei chiedere a chi fa politica nei movimenti e nelle associazioni, come pensa di cambiare la società, se con la rivoluzione, l'amministrazione o cos'altro...
Vorrei tanto chiedere a chi è iscritto ad un partito, alla giovanile di un partito, come pensa di cambiare la società...
Vorrei chiedere a chi lavora nel sociale, come pensa di cambiare la società...
Vorrei interrogare i figli dei politicanti, per capire se vogliono o no cambiare la società...
Vorrei chiedere ai giovani consiglieri se pensano ancora di cambiare la società, e se sì, come...
Vorrei chiedere a chi sta leggendo come pensa di cambiare la società...
Vorrei domandare a chi vede cultura, politica e violenza nell'educazione, se pensa di cambiare la società...
Vorrei chiedere ai giovani giornalisti, se scrivono per cambiare la società e come...
Vorrei chiedere ad un bambino come si cambia la società...
Vorrei chiedere a chi fa qualunque genere di iniziativa, come pensa, con essa, di cambiare la società...
Vorrei chiedere a chi è ancor più giovane di me, se già pensa di cambiare la società...
Vorrei domandare, a chi vuole intrecciare i percorsi, come si tesse una tela per cambiare la società...
Vorrei chiedere a una donna, come vorrebbe cambiare la società...
Vorrei incontrare nuovi clandestini, omosessuali, diversabili, barboni, rom, per chiedere quanto va cambiata, la società...
Vorrei chiedere a chi studia il cambiamento, come pensa, studiando, di cambiare la società...
Vorrei chiedere a chi pensa, come me, che vada modificato l'immaginario, le condizioni materiali, l'organizzazione e l'associazione, la democrazia e le forme di partecipazione, la redistribuzione della ricchezza e le condizioni di lavoro, la divisione del lavoro e il rapporto con l'ambiente, la vita e la politica, i rapporti umani animali e naturali, come pensa di farlo...
Vorrei capire cosa significa praticare il comune, senza pestarsi i piedi ed entrare in competizione...
Vorrei chiedere, a chi soffre della violenza, della concorrenza, dell'esclusione sua o di altri, del silenzio di chi perde, del dolore degli ultimi e di quello dei penultimi, come possiamo fare per cambiare tutto questo...
Vorrei proprio capire come si possa, qui, a Macerata, mettere insieme tutti questi...
Metterci insieme tutti noi...

Altrimenti, stiamo ancora parlando solo a noi stessi.

12.2.11

Egitto - Bye-bye Mubarak

Di Michele Giorgio, inviato del Manifesto
-
Gioia, felicità, danze, canti, baci, carezze, abbracci, pianti, risate, fuochi artificio, barche sul Nilo. Un fiume di parole non basta a descrivere come milioni di egiziani hanno festeggiato ovunque nel paese il sogno divenuto realtà, l'addio alla presidenza dopo ben trent'anni di Hosni Mubarak, l'unico leader conosciuto da almeno la metà della popolazione. Una festa coinvolgente e colorata che andrà avanti nei prossimi giorni e che sancisce la vittoria della «seconda rivoluzione egiziana», quella dei giovani, nota anche come la «rivoluzione 2.0», come l'aveva battezzata giovedì il blogger Wael Ghonim, tra i primissimi promotori dell'insurrezione contro il faraone del terzo millennio dopo Cristo. «Congratulazioni all'Egitto, il criminale ha lasciato il palazzo», così Ghonim ha salutato, ovviamente su Twitter, l'addio del raìs.Il primo obiettivo è stato raggiunto dal popolo egiziano, ma già si guarda avanti, alla ricostruzione dell'Egitto su nuove basi, politiche ed economiche. La gioia è proporzionale all'incertezza politica. Siamo ad un passaggio fondamentale della storia del più importante dei paesi arabi, che, peraltro, potrebbe dare il via all'effetto domino tanto evocato in Medio Oriente dopo la rivolta tunisina del mese scorso. Dietro l'angolo forse c'è l'insurrezione di giovani e popoli di altri paesi della regione, dominati come lo sono stati gli egiziani, da regimi oppressivi e, quasi sempre, fedeli esecutori delle politiche degli Stati uniti. Mubarak, lasciando la presidenza ha trasmesso i suoi poteri allo stato maggiore dell'esercito guidato dal generale Mohammed Tantawi, il ministro della difesa. Tantawi è una figura grigia e poco stimata - anche se ieri sera era davanti al parlamento a salutare la folla - che con ogni probabilità sarà soltanto il volto e il portavoce del Consiglio militare supremo dove svetta il capo di stato maggiore, generale Sami Enan, un comandante che piace molto agli Stati uniti e che gode di simpatie anche tra i Fratelli musulmani, per la sua «onestà e rettitudine». Enan e gli altri generali saranno il presente dell'Egitto, nella speranza che non diventano anche il futuro del paese, violando l'impegno preso di garantire l'avvio di quel processo di riforme democratiche per il quale hanno lottato milioni di egiziani e sono morti oltre 300 manifestanti.«In nome di Allah il misericordioso e il compassionevole: cittadini, durante le difficili circostanze che sta attraversando l'Egitto il presidente Hosni Mubarak ha deciso di lasciare la carica di capo dello Stato e ha incaricato lo stato maggiore delle forze armate di amministrare gli affari del paese. Che Allah possa aiutare tutti». Con queste parole il vicepresidente Omar Suleiman ha annunciato in un brevissimo intervento televisivo l'abbandono del potere da parte del raìs, senza aggiungere alcun dettaglio sul suo futuro personale o quello del premier Ahmed Shafiq. Mubarak, che in un discorso trasmesso giovedì aveva rifiutato di dimettersi, ieri mattina ha lasciato improvvisamente il Cairo per recarsi alla sua residenza di Sharm el Sheikh, nel Sinai, mentre piazza Tahrir si riempiva nuovamente di centinaia di migliaia di dimostranti e altre decine di migliaia di persone circondavano diversi palazzi delle istituzioni, la televisione di stato e si avvicinavano alla residenza del presidente.Alla notizia delle dimissioni la folla ammassata nella piazza Tahrir, epicentro per due settimane delle proteste, è esplosa di gioia. «E' fatta, siamo all'epilogo. Mubarak oggi è a Sharm el Sheikh, domani sarà a Jedda come l'ex presidente tunisino Ben Ali», ripeteva Omar, giunto in piazza Tahrir con la moglie e i due figli per godere di un momento che fino a qualche settimana fa nemmeno osava sognare. «Lui non rinunciava alla presidenza ma noi non ci siamo arresi, siamo rimasti qui, certi che presto o tardi avrebbe ceduto», spiegava il dottor Mansour Mahfouz con il camice bianco e un fascia con i colori della bandiera egiziana giunto in piazza assieme ad una nutrita delegazione di medici ed infermieri. Intorno nel frattempo si ballava e cantava, in un tripudio di bandiere egiziane. La gioia dell'annuncio ha cancellato in un attimo la delusione che molti avevano provato dopo la diffusione, in tarda mattinata, del secondo comunicato dei vertici militari, che dava l'idea di un sostegno delle forze armate al raìs contestato da gran parte del paese. «E' la prova che la politica egiziana è controllata da Israele e Stati uniti» aveva commentato con ira un ex deputato dei Fratelli musulmani, Mohammed Ashiyeh. Poi tutti hanno compreso che sono stati i generali a spedire Mubarak in riva al Mar Rosso. «Per noi la vita ricomincia adesso» ha commentato, appena giunto in piazza Tahrir per i festeggiamenti, il premio Nobel per la pace e uno dei leader dell'opposizione egiziana, Mohammed El Baradei. «Il mio messaggio al popolo egiziano è: vi siete guadagnati la libertà, fatene il miglior uso e che Allah vi benedica», ha proseguito El Baradei, un probabile candidato alla presidenza.L'Egitto ora è in mano ai militari che i Fratelli musulmani, principale movimento di opposizione, si sono affrettati ad elogiare per «aver mantenuto le promesse». Le incognite però sono tante nonostante l'atteggiamento positivo e vicino alla gente che soldati e ufficiali hanno avuto in questi quindici giorni nei quali hanno presidiato le strade del Cairo e di altre città. Le forze armate non hanno ancora comunicato quale sarà l'iter della transizione. In base all'articolo 84 della costituzione egiziana, in caso di vacanza del potere, la presidenza viene assunta ad interim dal presidente dell'Assemblea del popolo e le elezioni devono venire celebrate entro i successivi 60 giorni. Ma è chiaro che l'esercito non affiderà alcun incarico a Fathi Sorour, speaker di una Assemblea dominata dai deputati del Pnd, il partito di Mubarak, eletta alla fine dello scorso anno tra brogli e frodi senza precedenti, e, quindi, non riconosciuta dal popolo. Fino a ieri il vice-presidente (ed ex capo dei servizi segreti) Suleiman sembrava il più gettonato a guidare il periodo tra il «governo militare» e la nascita di una leadership politica eletta democraticamente. Non piace molto agli egiziani ma Washington e Israele cercheranno di imporlo alla giunta militare che ha preso i poteri, perché è considerato, come dice qualcuno, la «migliore garanzia di stabilità e continuità per l'intera regione». Non è però chiaro se Suleiman goda del pieno appoggio dell'esercito e ierisera circolavano voci, rilanciate dalla Bbc, che anche lui avrebbe rinunciato all'incarico dopo un aspro scontro con i vertici militari. Ieri sera è sceso in campo anche il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, che salutando lo «storico cambiamento» in Egitto e ha invitato al «consenso nazionale» dopo le dimissioni di Mubarak. Egiziano, ex ministro degli esteri, Musa fa parte del Consiglio dei saggi e non nasconde le sue ambizioni presidenziali.Qualsiasi soluzione venga trovata ai piani alti tuttavia verrà respinta dal popolo se non verrà accompagnata dalle riforme annunciate. Gli egiziani in queste due settimane hanno imparato a non avere più paura e non resteranno a guardare di fronte alla nascita di una dittatura militare o di un nuovo regime, simile a quello attuale ma con un nuovo volto. Gennaio:- 25: Iniziano le proteste organizzate dai movimenti della società civile «Kifaya» e «6 Aprile», partecipano migliaia di persone. Nei giorni precedenti 5 egiziani si erano dati fuoco (uno è morto), emulando il giovane tunisino all'origine della rivolta che il 14 gennaio ha portato alla caduta di Ben Ali.- 27: L'oppositore più noto, Mohamed ElBaradei, ritorna al Cairo.- 28: Manifestazioni imponenti. La polizia spara, i morti sono decine solo al Cairo. Incendiata la sede del partito al potere Pnd.- 29: Giornata di scontri: decine di morti. Mubarak nomina un vice presidente, il capo dell'intelligence, generale Omar Suleiman.--FEBBRAIO--- 1: Più di un milione di manifestanti in piazza in tutto l'Egitto. Marea umana su piazza Tahrir, nel centro del Cairo. Barack Obama afferma di aver detto a Mubarak di avviare «adesso» una transizione politica pacifica.- 2: Sanguinosi scontri a piazza Tahrir dove irrompono i sostenitori di Mubarak. I manifestanti anti-regime respingono gli assalitori.- 5: Mubarak riunisce per la prima volta il nuovo governo. Sciolti i vertici del Pnd, fra i dimissionari il figlio, Gamal, ancora ritenuto «erede» alla presidenza.- 6: Al Cairo storico incontro tra una delegazione dei Fratelli musulmani e il vicepresidente Omar Suleiman per il dialogo fra governo e opposizione.- 7: Le autorità egiziane rilasciano Wael Ghonim, blogger simbolo della protesta.- 10: Scioperi in tutto il paese. Per tutto il giorno le indiscrezioni dicono che Mubarak si dimetterà. In serata la doccia fredda: Mubarak resta.- 11: Mubarak parte per Sharm el Sheikh. Il vicepresidente Suleiman annuncia le sue dimissioni e il trasferimento dei poteri all'esercito. Piazza Tahrir esulta. (mi. gio.)

11.2.11

La gioia di piazza Tahrir. Poi le scarpe contro Mubarak.

Proponiamo di seguito l'articolo di Michele Giorgio, inviato del Manifesto in Egitto, uscito sul giornale di oggi.
-
«Rivoluzione: missione compiuta». La folla ondeggiava e cantava ieri sera mentre in Piazza Tahrir, attraverso Twitter, in omaggio ad una rivolta cominciata in internet, giungevano queste parole scritte da Wael Ghoneim, il cyber-militante simbolo dell'insurrezione arrestato dalla polizia politica e liberato dopo 12 giorni di detenzione. Peccato che il Faraone, che pareva avesse ceduto di schianto dopo 17 giorni di manifestazioni oceaniche, alla fine spiazza tutti e non se ne va. Nonostante i milioni di persone che urlavano un solo slogan: «Hosni Mubarak vattene». Nonostante Obama, che annunciava che «lì si fa la storia».
L'uomo che per trent'anni ha avuto il controllo dell'Egitto poggiandosi su un apparato di sicurezza e repressione feroce, che ha consentito il ripetersi di elezioni-farsa, che sognava di passare lo scettro al figlio dando inizio ad una dinastia, ha annunciato la fine dello stato d'emergenza che durava dal 1981, ribadito che rispetterà gli impegni presi e non si ricandiderà, promesso che garantirà lo svolgimento di elezioni libere e ceduto i poteri al suo vice Suleiman. Ma senza cedere ai «diktat» di altri Paesi e con l'avvertenza che «non lascerò mai questa terra». Fino alla tarda serata di ieri il potere appariva saldamente nelle mani del Consiglio militare supremo, che nel suo primo comunicato aveva annunciato di aver preso ad interim i poteri politici e la guida del paese. Ma nella notte Mubarak ha ribaltato tutto e annunciato in un messaggio televisivo alla nazione il trasferimento delle deleghe a Omar Suleiman, il vicepresidente ed ex capo dei servizi di sicurezza che Stati Uniti e Israele vorrebbero vedere al potere, garante di una transizione «ordinata» che non metta in discussione l'attuale posizione politica e diplomatica dell'Egitto nella regione e verso l'Occidente.Un boato di felicità aveva accolto quella che sembrava essere la fine del regime. Dopo era cominciata la festa. «L'esercito e il popolo sono uniti» hanno urlato alcuni, «viva l'Egitto» altri. Migliaia di egiziani hanno continuano ad affluire verso la piazza simbolo della rivolta presidiata da decine di mezzi corazzati che, almeno fino a tarda sera, non hanno effettuato alcun movimento. «Sono qui perché non voglio perdermi questo momento storico, il momento in cui il presidente lascerà il paese» diceva Alia Mossallam, 29 anni. Khaled e Ammar, amici per la pelle, invece si abbracciavano felici brindando simbolicamente con l'acqua minerale alla fine del regime di Mubarak, costretto a farsi da parte come il tunisino Ben Ali. «This is people power» ripeteva da parte sua un uomo sulla quarantina rivolgendosi ai giornalisti stranieri presenti, corretto immediatamente da un ragazzo: «No, questo è il potere dei giovani, dei giovani della rivoluzione». La gioia si è trasformata in rabbia immediatamente dopo il discorso di Mubarak. In migliaia hanno preso a lanciare scarpe contro il Faraone in segno di dispregio, si è alzato un coro che chiedeva le dimissioni e sono partite le invocazioni all'esercito ad andare insieme dal raìs per deporlo. Oggi centinaia di migliaia di egiziani continueranno a manifestare, al Cairo e nel resto del paese. La caduta del presidente non è che la prima delle rivendicazioni dei gruppi di giovani e della società civile che hanno guidato la rivolta.
La voglia di cambiamento e di giustizia è enorme - tutti chiedono che vengano giudicati e puniti i responsabili della strage di oltre 300 egiziani compiuta da polizia e servizi di sicurezza - ma che difficilmente troverà soddisfazione nel passaggio di poteri al vicepresidente (che Piazza Tahrir non vuole) o nelle strategie dell'esercito, che è uscito definitivamente allo scoperto e potrebbe assumere un ruolo più definito concentrando il potere in una sorta di giunta militare. Il Consiglio militare supremo ha diffuso due comunicati ieri pomeriggio nei quali si è preso carico di «esaminare le misure necessarie per preservare la sicurezza del paese» e «sostenere le legittime richieste della popolazione». Se Suleiman appare il candidato preferito da Washington e Tel Aviv, l'esercito potrebbe non essere d'accordo, preferendo assumere collettivamente la responsabilità del paese o proporre un nuovo candidato. Non va dimenticato che entrambe le parti hanno due efficaci strumenti di pressione: gli aiuti militari statunitensi da una parte e il trattato di Camp David con Israele dall'altra. Di fatto, come si legge sui documenti dei diplomatici americani diffusi da Wikileaks, i comandi militari egiziani considerano gli aiuti un indennizzo dovuto per il rispetto del trattato. Il premier israeliano Netanyahu perciò è stato rapido nel mettere in chiaro già ieri sera cosa si aspetta dal nuovo Egitto che, in sostanza, vorrebbe come quello dominato per trent'anni da Mubarak.
«Israele desidera stabilità e continuità e che sia preservata la pace, quale che sia il governo al potere», ha detto prima ancora del discorso del presidente sconfitto. Dagli Usa Barack Obama si è sbilanciato poco, limitandosi a ripetere quanto già dichiarato più volte dall'inizio della crisi egiziana. «Siamo testimoni della storia che si schiude - ha detto il presidente Usa - È un momento di trasformazione che sta avvenendo perché il popolo egiziano chiede un cambiamento. Sono i giovani ad essere all'avanguardia. Una nuova generazione, la vostra generazione - ha precisato rivolgendosi agli universitari americani della Northern State University - che vuole che la sua voce sia udita. Vogliamo che questi giovani e tutti gli egiziani sappiano che l'America continuerà a fare ogni cosa che può per sostenere una transizione ordinata e autentica verso la democrazia in Egitto». Belle parole ma la Casa Bianca ha già fatto schierare navi da guerra nel Mediterraneo meridionale, pronte ad intervenire per tenere aperto il Canale di Suez se in Egitto non avverrà la «transizione ordinata».
Gli americani sanno bene che buona parte degli 80 milioni di egiziani puntano ad un cambiamento profondo, perché vogliono vivere finalmente un'esistenza decorosa, non più tra gli stenti come hanno dovuto fare sino ad oggi. Accanto alla rivolta di Piazza Tahrir dilagano gli scioperi di lavoratori di ogni settore che ricevono stipendi da fame. Ieri a scioperare sono stati i 62mila autisti di autobus e mezzi di trasporto pubblici. «Non torneremo alla guida sino a quando non verranno accolte le nostre richieste - ha spiegato Wael Riad, un autista - Vogliamo l'aumento immediato dello stipendio, 700 pound al mese (meno di 100 euro) sono una miseria, a stento riusciamo a mangiare».Il via libera agli scioperi è stato proprio il governo a darlo, annunciando l'aumento, a partire da aprile, del 15% delle pensioni e dei salari dei dipendenti pubblici. Assecondando i dipendenti statali, principale bacino di consenso, il regime credeva di poter placare il malcontento esploso in rivolta il 25 gennaio.Invece quel provvedimento ha spinto migliaia di egiziani a scendere in strada per reclamare «aumenti per tutti e non per pochi». Faisal, un insegnante, si lamentava ieri per «le ricchezze del presidente». «Noi moriamo di fame e la famiglia Mubarak invece si è arricchita», ha detto l'uomo in riferimento alle notizie circolate nei giorni scorsi sul patrimonio di diversi miliardi di dollari che il raìs e e la sua famiglia avrebbero accumulato in tutti questi anni. Gli scioperi si intensificano ovunque.
Ieri 24mila operai della Misr Spinning di Mahallah (Delta), hanno fermato gli impianti della più importante fabbrica tessile del paese, dichiarandosi solidali con la protesta in Piazza Tahrir. Seimila lavoratori sono in sciopero nell'area del Canale di Suez, con grande preoccupazione di Usa e Ue.Ma l'Egitto va ricostruito anche a partire dal rispetto dei diritti umani e politici. Amnesty ha chiesto la fine dei poteri arbitrari delle forze di sicurezza, il rilascio dei prigionieri di coscienza e l'introduzione di garanzie contro la tortura. Parole che, si spera, verranno ascoltate. I dubbi però restano forti. Ieri il Guardian ha riferito la denuncia fatta da attivisti egiziani di centinaia di arresti e torture compiute anche dall'esercito egiziano. Accuse respinte dai comandi militari. Il futuro dell'Egitto è un foglio bianco tutto da scrivere.

8.2.11

Bimbi morti a Roma - Dal Lago: le lacrime ipocrite del potere

Proponiamo di seguito un articolo di Alessandro Dal Lago, noto sociologo ed intellettuale italiano, su quanto accaduto nel campo rom di Roma, convinti che quanto sia accaduto rappresenta lo specchio di un Paese e un modello economico-sociale che emargina ed esclude.
-
Tratto da Liberazione dell'8 febbraio- La morte dei quattro bambini Rom a Roma sta suscitando lacrime di coccodrillo e un’indignazione tutta di paglia. Ma giureremmo che nel giro di pochi giorni la notizia scivolerà in un trafiletto nella pagina degli interni e poi sarà dimenticata come tante altre simili. D’altra parte, il bunga bunga berlusconiano eccita infinitamente di più l’indignazione di una parte dell’opinione pubblica e non c’è da meravigliarsi che le tragedie della povertà, dell’abbandono e dell’esclusione lascino sostanzialmente indifferente una società per metà affascinata dalle performance del Capo e per l’altra metà ossessionata dalle cronache pruriginose di palazzo. Ma periodicamente fatti come quelli di Roma ci ricordano che la ricca e nevrotica Italia è un paese costruito sull’odio, le divisioni sociali e regionali e soprattutto la ferocia verso ogni tipo di estraneo, reale e o presunto tale. Chi parla più del “click day”, quella specie di gioco sadico dell’oca grazie al quale i migranti dovrebbero regolarizzarsi? E che dire del ministro Maroni che dai sommovimenti in atto sulla riva sud del Mediterraneo ha saputo dedurre solo la minaccia dei migranti clandestini?
E se questi sono gli statisti e i ministri, figuriamoci i comprimari! Il sindaco Alemanno era quello che aveva promesso di eliminare i campi nomadi da Roma. E, dopo la tragedia, ha dichiarato che non sarebbe successo nulla se il campo abusivo sull’Appia antica fosse stato rimosso. Come dire che la questione si risolverebbe semplicemente scaricandola da un’altra parte. Sarebbe questo un esempio del federalismo municipale che ci aspetta? La verità pura e semplice è che nessuno in Italia, e tanto meno la destra, ha mai voluto affrontare la questione dei nomadi, se non schedandoli, come durante la famigerata ondata di panico sociale scatenata dal governo Berlusconi qualche anno fa. In altri termini, l’esistenza di alcune decine di migliaia di nomadi, in maggioranza italiani e per il resto cittadini comunitari, non trova posto in una società che si vorrebbe liberale e magari multiculturale. Invece di attrezzare dimore dignitose, dotate di servizi igienici decorosi, collegamenti e servizi scolastici accessibili, si lascia che i Rom si insedino dove possono, in condizioni disumane, “tollerati” finché qualche solerte sindaco come Alemanno o Moratti non decide che è ora di procurarsi un po’ di consenso, visti i disastri delle loro amministrazioni, e quindi di eliminare il “problema” dei nomadi, allontanandolo dai confini dei rispettivi comuni. Ma non vogliamo pagare per loro! Ci pare già di sentirli i leghisti, che ora, visto che il loro è diventato un partito “rispettabile”, a cui guarda mezzo centrosinistra in vista di future maggioranze, la mettono sobriamente sul taglio della spesa pubblica, dopo che per anni hanno suonato la grancassa dei Rom ladri da cacciare a tutti i costi. Ma se è per questo, le lacrime di Alemanno o i borbottii di Maroni sono gli stessi di Rutelli e di Veltroni, il primo specializzato anche lui nello smantellare i campi Rom e il secondo, tra un libro di viaggi e uno di poesie, nell’esigere la linea dura contro i nuovi barbari. Se c’è una questione che unisce di fatto destra e sinistra, al di là di polemiche strumentali, è proprio quella dei Rom. Una società politica che difende la mobilità e la “libertà”a tutti i costi, non sa inventare nulla, ma proprio nulla, per gruppi sociali e famigliari che altrove riescono a integrarsi in società meno razziste e respingenti, e da noi sono chiamati in causa solo quando i loro bambini bruciano nelle roulotte. E non parliamo degli affidi, come se il problema fosse solo quello dei genitori e non della nostra società, che blatera tanto di famiglia, e di valori famigliari e di dignità dell’individuo, salvo poi schedare e smantellare le famiglie di clandestini e Rom, quando queste mancano dei servizi elementari, in un misto di repressione e solerte e peloso assistenzialismo. E dunque oggi tanti fanno finta di commuoversi per la tragedia dei quattro bambini. E magari si commuovono davvero. E domani o dopodomani? E tra un mese? Nel frattempo, lasciamo che le questioni sociali, quelle dure, che esigerebbero volontà politica, immaginazione e (perché no?) un minimo di carità umana e sensibilità all’ingiustizia siano soffocate dalle avventure d’alcova del capo e dai contorcimenti di un’opposizione che non si oppone più a nulla di sostanziale. Così vanno le cose nella repubblica del gossip e del peep show nazionale.

7.2.11

Donne che si ribellano

Donne che si ribellano

Esistono anche altre donne....ne eravamo convinte e ne abbiamo avuto la conferma.
Sabato pomeriggio l'iniziativa nata per iniziare un percorso di sensibilizzazione e discussione in merito alla questione di genere e alle tematiche che contribuiscono a costruire e utilizzare la figura femminile in questo Paese, è stata decisamente positiva. Non solo la partecipazione attiva delle donne e degli uomini, anche non vicini al Laboratorio fino a questo momento, ma la disponibilità della gente cui abbiamo chiesto di leggere il nostro volantino hanno evidenziato che anche a Macerata è possibile avviare uno spazio altro di azione e riflessione dal basso ma che punta a volare alto. Insieme a questi atteggiamenti abbiamo registrato dei simpatici episodi che simboleggiano quanto ci sia bisogno di riaprire la questione femminile stando attenti alle sfumature. In quasi tutte le coppie che abbiamo fermato per distribuire il volantino, abbiamo notato che, pur rivolgendoci direttamente alla donna, era quasi sempre l'uomo ad allungare istintivamente la mano per vedere di cosa si trattasse ed ere sempre lui a rimanere di sasso quando gli veniva detto esplicitamente e con ironia "no guarda, è proprio per lei"... Al contempo la donna si stupiva letteralmente che stessimo cercando proprio lei e che quel volantino fosse specificatamente per lei. Soddisfatte e divertite la maggior parte di esse non esitava a leggerlo.
Piccoli episodi e dettagli di un pomeriggio passato ad incontrare donne e a tentare di aprire la strada al dibattito, alla presa di coscienza di dinamiche, parole, eventi, ai quali ci siamo talmente assuefatte/i, da non riuscire a cogliere l'importanza e la gravità di alcune cose. Con questa piccola iniziativa, la prima di un percorso che sta nascendo, vi invitiamo a partecipare alla manifestazione del 13, di cui alleghiamo il link e vi segnaliamo le proposte di lettura che trovate su questo sito proprio in merito alla questione di genere.
http://www.facebook.com/event.php?eid=190717270956132
mobilitazione. donne.macerata@gmail.com

3.2.11

Donne che si ribellano - Mobilitazione a Macerata

"L'Italia non è un paese per donne"...è questa una delle frasi che si sente dire più spesso in questi giorni con amarezza non troppo velata...Il problema non è solo la condotta disdicevole del premier, uno show triste e decadente in cui si ostentano virilità e presunta onnipotenza, ma la figura della donna che questo paese ha costruito. Lo specchio di una società mafiosa e machista, che non esita a ledere la dignità dell’essere umano. Molti sono passati sotto questo malsano trattamento: i lavoratori, i disabili, i giovani precari, i giovani universitari. E le donne.Ma questo continuo mancare di rispetto alla figura femminile è ormai cosi abituale che non ci scandalizza più un premier che sceglie le proprie amanti dal suo catalogo personale.Quali sarebbero i principi di libertà e uguaglianza in un paese che si dichiara democratico, se la è donna ridotta a merce di scambio, umiliata anche quando tenta di riappropriarsi di tali diritti? Il nostro vuole essere un NO, un cambio di rotta, a questa regata senza precedenti che il nostro Paese sta intraprendendo a sfavore delle donne, minando la loro dignità di esseri umani.Non possiamo accettare oltre, non siamo donne a disposizione del potente di turno.Esistono anche altre donne, ne siamo fermamente convinte.
-
Per questo motivo il Laboratorio Giovanile Sociale invita tutte le donne che sono contro queste logiche perverse a ritrovarsi SABATO 5 FEBBRAIO alle ore 18.00 ai CANCELLI in CORSO GARIBALDI per manifestare attraverso un volantinaggio il nostro sdegno e avviare in città un percorso collettivo che sappia modificare alla base i rapporti sociali e di genere.

Laboratorio Giovanile Sociale

1.2.11

Democrazia e saperi come bene comune: verso gli Stati Generali della conoscenza.

Riportiamo, a seguire, il contributo del workshop sulla conoscenza tenuto nel Meeting "Uniti contro la crisi" di Marghera il 22-23 gennaio.
Un contributo, collettivo, per una riappropriazione sociale del sapere come bene comune.
-
Le mobilitazioni studentesche anti-Gelmini, le lotte dei precari della scuola e dell'università, le iniziative di lavoratrici e lavoratori della cultura e dello spettacolo hanno progressivamente allargato i confini di una rivolta dell’intelligenza sociale nel suo complesso contro una gestione padronale e governativa della crisi che, nel nostro Paese, ha scelto la linea del disinvestimento nel campo della formazione, della ricerca, della produzione culturale. In positivo, i conflitti degli ultimi mesi indicano come proprio questi soggetti sociali – in stretta connessione con tutti i soggetti del lavoro vivo – siano diventati protagonisti di una battaglia che pone la condivisione del sapere, la sua socializzazione, la cooperazione costruita intorno ad esso, al cuore dei processi di liberazione di tutti e di ciascuno.
-
Il partecipatissimo workshop dal titolo "Democrazia e saperi come bene comune: verso gli Stati Generali della conoscenza", ha consentito di mettere insieme idee, proposte, analisi fatte da studenti, ricercatori, cittadine e cittadini, con l'obiettivo di fermarsi a riflettere, anzi, di riflettere per non fermarsi.
Abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo una delle più straordinarie esperienze che il movimento studentesco abbia mai prodotto. L'autunno del 2010, nelle nostre scuole e nelle nostre università, è stato indubbiamente il più intenso degli ultimi anni, e non si è ancora concluso. Una quantità enorme di studenti, di dottorandi, di precari, di lavoratori tecnici-amministrativi, di ricercatori è scesa in piazza da ottobre in poi, dando vita a momenti di partecipazione, di mobilitazione e di lotta che ci hanno coinvolto fino in fondo, giorno e notte, per settimane.
Ora, dopo l'approvazione della riforma Gelmini, abbiamo il dovere di prenderci il tempo e il modo di riflettere. Questo movimento ha già dimostrato, non solo nella rivolta del 14 dicembre, giornata della sfiducia dal basso del governo Berlusconi, ma anche durante i blocchi e le manifestazioni del 22 dicembre, di essere in grado di andare ben oltre le date canoniche di mobilitazione autunnale.
Questo momento di riflessione, ben lungi dal voler imporre una direzione o delle scelte precostituite al movimento, intende contribuire al dibattito in corso fornendo spunti di discussione, analisi ed elaborazione, nati dal dialogo tra le molte realtà studentesche che, a partire dall'appello “Uniti contro la crisi” dello scorso ottobre, hanno lavorato intensamente per la costruzione di uno spazio comune tra le mobilitazioni in difesa dei saperi, del lavoro e dei beni comuni.
È emersa la necessità di approfondire il profilo di analisi di cui il movimento è dotato. Qual è il ruolo dei saperi nella crisi economica, sociale, ambientale e politica che stiamo vivendo? Come ci immaginiamo, dal punto di vista della struttura e da quello dei contenuti, una formazione scolastica e universitaria libera dai condizionamenti del mercato? Quali strumenti ci permetteranno di affrontare la stretta autoritaria imposta agli atenei dalla riforma Gelmini e di rilanciare sul piano della partecipazione? Come possiamo immaginare e costruire pratiche di apprendimento, di ricerca e di welfare capaci di rovesciare la situazione attuale? Questi sono solo alcuni degli spunti emersi per animare il dibattito nel mondo della scuola, dell'università e della ricerca nei prossimi mesi.
Tutti gli interventi si sono soffermati sulla necessità di evitare un ripiegamento su scuola e università e di rilanciare, invece, l'analisi su ciò che tiene insieme le lotte degli studenti, dei lavoratori, delle comunità territoriali. Il merito delle mobilitazioni di questi mesi è stato, prima di tutto, quello di aver riaperto uno spazio di opportunità e legittimità per il conflitto sociale, lo spazio per una democrazia prodotta dal basso nei luoghi della formazione e del lavoro, nelle strade e nelle piazze, fuori da un sistema politico bloccato, sempre meno capace di confrontarsi con ciò che si muove nella società.
Abbiamo saputo cogliere il disegno comune che unisce la riforma Gelmini dell'università con i diktat di Marchionne nell'industria: la crisi è utilizzata come opportunità per abbattere il sistema pubblico della formazione e della ricerca, il contratto nazionale di lavoro (tramite il ricatto della delocalizzazione e il collegato lavoro), per eliminare, nell'attacco ai diritti e ai saperi, le basi materiali di ogni democrazia. Abbiamo saputo cogliere il nesso che fa della concezione della conoscenza come risorsa scarsa lo strumento che consegna la nostra generazione alla schiavitù della precarietà. Abbiamo saputo produrre nello stesso tempo, pratiche di conflitto, consenso generalizzato e nuovi linguaggi, affrontando il tema delle lotte dei lavoratori non in termini di mera solidarietà, bensì di costruzione di un comune percorso di resistenza. Ricomporre le soggettività disperse dalla crisi e dalle forme di sfruttamento contemporaneo diventa in questo momento un obiettivo decisivo, che abbiamo intenzione di percorrere fino in fondo. Per questo il 28 gennaio anche gli studenti e i precari parteciperanno allo sciopero dei metalmeccanici proclamato dalla Fiom,
Dalla battaglia contro la riforma Gelmini è scaturito un movimento ben più ampio, che è stato in grado di porre la questione generazionale come questione sociale, tenendo insieme la battaglia in difesa di scuola, università e ricerca con un più ampio percorso di lotta alla precarietà e di costruzione di un nuovo welfare universale, in grado di reclamare reddito, misura decisiva per affrontare il mutamento avvenuto nella produzione e nel lavoro, sul piano della cittadinanza.
Molti tra i partecipanti al workshop hanno invitato il movimento a perseguire questa strada fino in fondo, ponendosi il problema della costruzione dell'alternativa.
Dopo l'approvazione della riforma Gelmini, come si può evitare che il dibattito sull'università, sulla condizione studentesca e sul ruolo dei saperi nella nostra società venga repentinamente messo da parte? È stata ribadita la necessità di continuare la battaglia contro la riforma, sia a livello nazionale, tramite un'opera di monitoraggio costante e di mobilitazione in occasione del varo dei decreti delegati (in particolari riguardanti il diritto allo studio), sia a livello locale, dando battaglia per contrastare l'ingresso dei privati nei consigli di amministrazione e la precarizzazione della ricerca all'interno degli statuti d'ateneo, e cogliendo l'occasione per proporre ed imporre un modello alternativo di università, sulla cui definizione il movimento deve interrogarsi e confrontarsi nel modo più ampio e partecipato, coinvolgendo tutti i soggetti in mobilitazione. Le proposte in campo sono molte, come i possibili strumenti per agire sul lavoro delle commissioni: elezione democratica delle commissioni, monitoraggio costante, assemblee periodiche, possibili consultazioni referendarie dal basso. Sull'eventualità di un referendum abrogativo, proposta da alcuni, il dibattito deve ancora proseguire. Se da una parte il referendum potrebbe costituire un'occasione attraverso la quale riprendersi la possibilità di decidere sull'università (seguendo l'esperienza del movimento per l'acqua bene comune), dall'altra rischia di non individuare proposte di cambiamento in grado di andare oltre la riforma e produrre una trasformazione reale.
La situazione delle scuole, d'altro canto, era fin dall'inizio caratterizzata da una 'riforma' a regime, ma soprattutto dai tagli di finanziamenti e personale che hanno aggravato le condizioni materiali degli studenti dentro e fuori i luoghi di formazione. Gli studenti medi hanno avuto quindi assieme l'onere e la grande opportunità di andare oltre l'idea di scuola che il Governo Berlusconi (e non solo) ha messo in pratica in questi anni. L'onere, perché inevitabilmente è stato difficile spiegare che quella che si stava iniziando non era una battaglia già persa in partenza. La grande opportunità, perché si è trattato non solo di immaginare, di condividere e di mettere in pratica un modello 'altro' di scuola e di diritto allo studio, ma anche di ricostruire dei nessi dentro il mondo della formazione.
Questa necessità inevitabilmente si intreccia con la rivendicazione di un accesso al sapere che vada oltre i concetti di merito e di welfare familista e con la netta contrarietà a quei provvedimenti che tendono a distruggere l'obbligo scolastico creando vaste aree 'grigie' di apprendistato-schiavitù.
La battaglia sulla conoscenza, del resto, non si limita agli studenti: alla discussione hanno partecipato dottorandi, insegnanti, precari, ricercatori e lavoratori dello spettacolo, che hanno posto l'accento sulla necessità di costruire un fronte comune di elaborazione, in grado di rendere visibili le fabbriche dell'immateriale. In questo quadro, la Flc ha rilanciato la proposta di “stati generali della conoscenza”, e andrà verificata la possibilità di intrecciare questo percorso con quelli che il movimento determinerà in maniera autonoma.
Immaginare e costruire un'università che sappia mettersi al servizio di un'uscita dalla crisi sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale è un obiettivo considerato prioritario da tutti i partecipanti al seminario.
Tenere insieme la battaglia per fermare la riforma negli atenei con il dibattito generale sul nuovo modello di università e con le mobilitazioni sociali a difesa di lavoro e beni comuni è la sfida che ci aspetta. Tale sfida, d'altra parte, non può limitarsi ai confini nazionali: molti interventi hanno sottolineato l'esigenza di organizzare un meeting europeo, in grado di porre le basi per intrecciare analisi e mobilitazioni contro l'austerità sul piano continentale, che sia in grado di connettere i conflitto disseminati – ma che utilizzano linguaggi e pratiche comuni - che si sono espressi in tutta Europa.