di Alberto Lucarelli, assessore ai beni comuni di Napoli, sul Manifesto del 14/06/2011
Oggi, a due settimane dai trionfi di Napoli e Milano e a dieci anni dal G8 di Genova, festeggiamo la vittoria del referendum sull'acqua e soprattutto un nuovo modo di fare Politica. È nato un nuovo laboratorio politico, si è raggiunta una vittoria voluta con tutte le forze dal forum dei movimenti per l'acqua e da tutta quella cittadinanza attiva che progressivamente ha capito la necessità di riconquistare se stessi e soprattutto la voglia di far politica e di vedere affermati i propri diritti. Il movimento referendario ha avuto la forza e il coraggio, sin dall'inizio del suo percorso, di declinare un nuovo modo di fare politica, di esprimere nuove soggettività, al di fuori del sistema dei partiti.
Partiti in pochi, ma decisi e già consapevoli dei saccheggi che si stavano realizzando sui beni comuni, il movimento con coerenza, rigore, umiltà, forza di ascolto e di inclusione ha saputo e voluto raccogliere e declinare il "grido" di Genova 2001, dichiarando l'esigenza di uscire dalle logiche proprietarie e individualistiche, per affermare spazi e beni comuni dove poter esercitare e veder soddisfatti i propri diritti. Oggi si raccoglie il frutto di una semina non compresa, sbeffeggiata, avversata dall'establishment istituzionale, ma anche una semina che i più avvertiti avevano compreso che avrebbe determinato un'inversione di rotta e spezzato quell' intreccio affaristico tra borghesia mafiosa, politica, economia e pezzi deviati dell'amministrazione pubblica.
A partire dal 2001 si è aperto in Italia, attraverso il ruolo determinante di tante realtà locali e di tante pratiche sociali, la battaglia dei beni comuni contro la privatizzazione selvaggia dei diritti di cittadinanza ma anche contro gli abusi di un pubblico sempre più corrotto e contaminato da interessi particolari. Si è riusciti a liberare il concetto vuoto di partecipazione dai formalismi giuridico-istituzionali e dai giochetti della democrazia formale; si sono contrastati con fermezza ipocriti meccanismi di cooptazione o di strumentalizzazione.
La truffa "normativa" della partecipazione è stata smascherata sviluppandosi all'esterno e a volte anche contro i meccanismi legislativi che miravano ad irretirla. A partire dalla vittoria di oggi pretenderemo che le politiche pubbliche (nazionali e locali) non siano più calate dall'alto e che le istanze partecipative, elemento decisivo per la gestione dei beni comuni, si trasformino in veri diritti, espressione di antagonismo, proposta, gestione e controllo. Tutti i comuni dovranno adottare delle delibere che impongano l'affermazione della democrazia partecipativa, sperimentando anche laddove non previsto dalla legislazione vigente reali ed effettive forme di coinvolgimento.
La vittoria di oggi è la prova che partecipazione e beni comuni sono nuove categorie che stanno contribuendo alla nascita di nuove soggettività politiche fuori ed oltre il sistema dei partiti. Attraverso le battaglie sull'acqua, ma direi in senso più ampio attraverso le battaglie a difesa del lavoro, del territorio, dell'università pubblica, dei diritti dei migranti, contro il nucleare e gli inceneritori, i cittadini si riapproprieranno del diritto di esprimersi sui beni comuni, sui beni di loro appartenenza, su quei beni che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali. Sono avvertiti tutti quei comuni compiacenti che preferiscono fare affari con i privati piuttosto che difendere i beni della comunità. Questi amministratori si troveranno di fronte cittadini pronti a reagire a veri e propri piani di svendita dei servizi pubblici locali oltre che del patrimonio pubblico. Le comunità locali non sono più disposte a tollerare dei municipi gestiti da giunte che, unitamente a "pezzi" della borghesia mafiosa, perseguono interessi particolari, assumendo decisioni «non partecipate e calate dall'alto». Da oggi obiettivo politico primario sarà la realizzazione di un governo pubblico e partecipato dei beni comuni, in una prospettiva di effettivo cambiamento.
Partiti in pochi, ma decisi e già consapevoli dei saccheggi che si stavano realizzando sui beni comuni, il movimento con coerenza, rigore, umiltà, forza di ascolto e di inclusione ha saputo e voluto raccogliere e declinare il "grido" di Genova 2001, dichiarando l'esigenza di uscire dalle logiche proprietarie e individualistiche, per affermare spazi e beni comuni dove poter esercitare e veder soddisfatti i propri diritti. Oggi si raccoglie il frutto di una semina non compresa, sbeffeggiata, avversata dall'establishment istituzionale, ma anche una semina che i più avvertiti avevano compreso che avrebbe determinato un'inversione di rotta e spezzato quell' intreccio affaristico tra borghesia mafiosa, politica, economia e pezzi deviati dell'amministrazione pubblica.
A partire dal 2001 si è aperto in Italia, attraverso il ruolo determinante di tante realtà locali e di tante pratiche sociali, la battaglia dei beni comuni contro la privatizzazione selvaggia dei diritti di cittadinanza ma anche contro gli abusi di un pubblico sempre più corrotto e contaminato da interessi particolari. Si è riusciti a liberare il concetto vuoto di partecipazione dai formalismi giuridico-istituzionali e dai giochetti della democrazia formale; si sono contrastati con fermezza ipocriti meccanismi di cooptazione o di strumentalizzazione.
La truffa "normativa" della partecipazione è stata smascherata sviluppandosi all'esterno e a volte anche contro i meccanismi legislativi che miravano ad irretirla. A partire dalla vittoria di oggi pretenderemo che le politiche pubbliche (nazionali e locali) non siano più calate dall'alto e che le istanze partecipative, elemento decisivo per la gestione dei beni comuni, si trasformino in veri diritti, espressione di antagonismo, proposta, gestione e controllo. Tutti i comuni dovranno adottare delle delibere che impongano l'affermazione della democrazia partecipativa, sperimentando anche laddove non previsto dalla legislazione vigente reali ed effettive forme di coinvolgimento.
La vittoria di oggi è la prova che partecipazione e beni comuni sono nuove categorie che stanno contribuendo alla nascita di nuove soggettività politiche fuori ed oltre il sistema dei partiti. Attraverso le battaglie sull'acqua, ma direi in senso più ampio attraverso le battaglie a difesa del lavoro, del territorio, dell'università pubblica, dei diritti dei migranti, contro il nucleare e gli inceneritori, i cittadini si riapproprieranno del diritto di esprimersi sui beni comuni, sui beni di loro appartenenza, su quei beni che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali. Sono avvertiti tutti quei comuni compiacenti che preferiscono fare affari con i privati piuttosto che difendere i beni della comunità. Questi amministratori si troveranno di fronte cittadini pronti a reagire a veri e propri piani di svendita dei servizi pubblici locali oltre che del patrimonio pubblico. Le comunità locali non sono più disposte a tollerare dei municipi gestiti da giunte che, unitamente a "pezzi" della borghesia mafiosa, perseguono interessi particolari, assumendo decisioni «non partecipate e calate dall'alto». Da oggi obiettivo politico primario sarà la realizzazione di un governo pubblico e partecipato dei beni comuni, in una prospettiva di effettivo cambiamento.
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