30.10.10
Laboratorio scuole superiori, parte IV: Ragioneria.
Cambiare l'Italia senza prendere il potere.
28.10.10
Laboratorio scuole superiori, parte III: Pannaggi-Geometri
26.10.10
Laboratorio scuole superiori, parte II: Liceo Scientifico
24.10.10
A Terzigno un poliziotto con i manifestanti: "La seconda discarica è illegale e criminale"
C’è un poliziotto tra i blocchi stradali di Terzigno. Un poliziotto che sta dalla parte dei manifestanti. E’ in prima linea al fianco dei comitati civici contro l’apertura della seconda discarica nel Parco Nazionale del Vesuvio. E critica severamente “l’uso sproporzionato della forza da parte dei miei colleghi: ho assistito coi miei occhi a scene di violenza inenarrabili”. L’agente anti-discarica si chiama Francesco Paolo Oreste, ha 37 anni ed è in polizia dal 1997. Attualmente lavora nei servizi investigativi e di polizia giudiziaria del commissariato di Pompei. Da due anni e mezzo è consigliere comunale del Pd a Boscoreale. Ha fondato un’associazione, ‘Eureka’, che organizza iniziative culturali e presentazioni di libri.
Che giornate sta vivendo?
“Vivo da barricato”.
Qui è pieno di barricate.
“Le barricate ce le hanno create intorno lentamente. Un muro di gomma formato in due anni di silenzio. Le proteste non sono iniziate ora: accogliemmo il decreto del 2008 con responsabilità, senza scendere in piazza, ma cercando di dialogare, di esporre le nostre ragioni. Il problema è gran parte dei sindaci di questo territorio è del Pdl. Dovevano essere loro a tradurre le nostre istanze, ma si sono fidati delle promesse verbali del governo del Pdl. Il governo, attraverso i suoi rappresentanti come Guido Bertolaso, diceva loro informalmente che aprire uno sversatoio nel Parco era una soluzione temporanea, che non sarebbe stato conferito il tal quale ma solo rifiuto trattato, che Cava Vitiello non sarebbe stata aperta. Con questo governo ci volevano invece impegni scritti”.
Parla l’esponente del Pd o il cittadino-poliziotto? Ora la protesta si è inasprita, ci sono stati degli scontri, dei feriti: di chi è la colpa?
“Ora parla il poliziotto. E il poliziotto Oreste dice che i cittadini stanno manifestando correttamente il loro dissenso. Se dieci facinorosi qualificano migliaia di dimostranti come facinorosi, allora anche un massone nel governo qualificherebbe il governo come massone… Quanto ai feriti, non ho visto da parte della polizia un uso della forza proporzionale alla resistenza dei manifestanti”.
Ha letto le dichiarazioni del capo della polizia Manganelli? “Siccome si deve sversare, faremo in modo che sia possibile anche se dovesse costare l’uso della forza”.
“Manganelli, nomen omen… Parole che sono benzina sul fuoco. Come fa un tutore della legge a non partire dal presupposto giuridico di un uso proporzionale della forza? Se si manganellano le persone sedute per terra… Non si può usare la violenza contro la resistenza passiva, altrimenti si diventa uno strumento del governo incapace di risolvere i problemi attraverso le soluzioni politiche. Invece si preferisce accomunare dieci facinorosi a mille dimostranti pacifici per poter così reprimere tutto il dissenso, violando il diritto costituzionale alla protesta”.
La seconda discarica è prevista dalla legge.
“La seconda discarica è comunque illegale e criminale. Lo dicono la commissione europea e la Costituzione. Piazzarla vicina ai centri abitati è un attentato al diritto alla salute. Anche il lodo Alfano era una legge. Ma era incostituzionale ed è stata bocciata”.
Le è mai capitato di dover obbedire a ordini che riteneva ingiusti? In fondo i poliziotti in tenuta antisommossa a Terzigno stanno eseguendo degli ordini.
“Ho lavorato allo sgombero di piazze occupate. Se mi chiedessero di interrompere una manifestazione della quale condivido i valori, obbedirei comunque. Perché sono un servitore dello Stato. Ma non un servo. E sgombererei secondo i crismi della legge e della Costituzione. Quindi se trovo persone sedute, le sollevo e le sposto: non potrei certo caricare ragazzine inermi e sedute su un muretto come ho visto fare durante le proteste di Terzigno: a una ragazzina hanno spaccato il naso”.
Lei ha assistito anche a questo?
“Ho assistito, abbiamo assistito a cose inenarrabili. Ho visto, abbiamo visto lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, uno poche ore fa ha colpito alla testa il mio dentista che passava da lì, hanno suturato la ferita alla nuca con dieci punti. Se da poliziotto nel corso di un arresto lasciassi un livido sulla coscia di uno spacciatore di droga, quello mi denuncerebbe e rischierei di passare un guaio. Qui invece si sta derogando a tutto. Come amministratore comunale ho aderito a un documento col quale chiediamo che cessino le violenze contro le popolazioni, che sono intollerabili”.
22.10.10
Proiezione gratuita del film "Piombo fuso"-Lunedì 25 ottobre 21.15
21.10.10
Laboratorio scuole, parte I: ITAS
Ecco come si concretizza il percorso collettivo che le superiori stanno portando avanti. Oggi prima puntata, si presenta il "laboratorio Itas":
-Jacopo Clementoni 5H
-Luca Piermarini 5S
-Tommaso Gagliardini 5A
-Manuel Mele 4H
-Giovanni Romano 4P
-Margherita Blasetti 3D
E soprattutto, molte altre persone, ragazze e ragazzi, che ci lavorano assieme.
In ultimo, ci tengo a segnalare che queste proposte non sono estemporanee o figlie del caso, ma il frutto di momenti di condivisione e discussione, anche con ragazz* delle altre scuole...
Siamo con voi
Stefano
19.10.10
Landini: è giusto ribellarsi contro questa società.
Vedere questa bellissima piazza dà davvero tanta felicità, ma allo stesso tempo indica una speranza. È anche una piazza che indica una forza; soprattutto è una piazza che unisce questo paese e che parla al paese. Dice cioè che per uscire dalla gravissima crisi che stiamo vivendo c'è bisogno di rimettere al centro il lavoro, i diritti. E che per questa ragione è necessario contrastare la politica che il governo sta facendo ed è necessario contrastare la politica che Confindustria, in questo paese, insieme a Federmeccanica, sta facendo.
Perché il punto di fondo da cui ripartire sono le ragioni per cui si è determinata questa crisi. Noi siamo in presenza del fatto che per 20 anni ci hanno raccontato che era sufficiente «lasciare fare al mercato e tutto sarebbe andato a posto». E dopo 20 anni noi siamo di fronte al fatto che la finanza non ha alcuna regola, anzi la politica e gli stati sono al servizio della finanza. Siamo in presenza di un'evasione fiscale che non ha precedenti, tutta a danno dei lavoratori dipendenti. Siamo in presenza di una precarietà nel lavoro che non ha mai avuto una dimensione come quella che stiamo vivendo. Siamo di fronte al fatto che c'è stata una redistribuzione della ricchezza a danno di chi lavora che non ha precedenti.
Vedete, quando si lavora e si è poveri, siamo di fronte non solo a un'ingiustizia, ma al fatto evidente che una società così non è accettabile e che noi dobbiamo ribellarci per cambiarla. E dobbiamo dire con forza che, proprio per queste ragioni, uscire da questa crisi richiede dei cambiamenti.
In tanti ci descrivono semplicemente come quelli che sono capaci di dire solo «no». E' vero. Noi alla Fiat abbiamo detto «no», alla Federmeccanica abbiamo detto «no». Perché quando si vuole cancellare i diritti, quando si vuole cancellare il contratto, quando si vuole cancellare la dignità delle perone che lavorano, noi diremo sempre di «no». Non accetteremo mai che questa sia la strada per cambiare la situazione.
Ma vorrei ricordare a queste persone che noi, invece, avanziamo delle proposte per cambiare questa situazione. Noi vogliamo un altro modello di sviluppo. Vogliamo cioè ridiscutere cosa si produce; che ciò che si produce sia ambientalmente sostenibile; vogliamo che i beni comuni di questo paese siano difesi, che non siano privatizzati; vogliamo cancellare la precarietà, redistribuire la ricchezza e aumentare i salari; vogliamo estendere i diritti a chi non ce li ha. Ossia, ai giovani che oggi hanno di fronte nessun futuro; solo la prospettiva di essere precari per tutta la vita.
Noi non accettiamo questa cosa, la vogliamo cambiare. E vogliamo anche che la scuola sia un diritto pubblico, che sia possibile unire il lavoro, i diritti, il sapere, e vogliamo anche che sia estesa la democrazia.
Vedete, in questi giorni tanti hanno parlato. I ministri addirittura hanno fatto a gara a raccontare chissà cosa sarebbe successo oggi. Io credo si debbano vergognare per quel che hanno detto. Perché quando si arriva addirittura ad invocare il morto, come un ministro ha fatto, siamo di fronte a una irresponsabilità totale.
Ma questa piazza ... questa piazza ha la forza di dire che non solo questa è una manifestazione democratica e pacifica, ma vorremmo ricordare che se c'è la democrazia in questo paese è perché chi lavora l'ha conquistata e l'ha estesa. E se questi ministri possono dire anche le castronerie che ogni tanto dicono è perché siamo noi che garantiamo il diritto democratico a tutti di poter parlare e di poter dire il loro pensiero.
Se ci pensate un attimo... i processi di globalizzazione che in questi anni ci sono stati hanno proprio nella democrazia il loro limite, hanno paura della democrazia, hanno paura della trasparenza, hanno paura cioè che le persone possano sapere quello che avviene e possono decidere.
Noi siamo di fronte ad una crisi gravissima come non abbiamo mai vissuto; sta mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. Nonostante ci raccontino che dovremmo stare tranquilli e che va tutto bene, noi sappiamo perfettamente che così non è. Anzi, se nei prossimi mesi non c'è un cambiamento radicale delle politiche industriali, rischiamo di essere di fronte a ulteriori chiusure, alla fine della casa integrazione, a migliaia di posti che vanno persi; alla disoccupazione.
Ma è questo il punto di novità. Si sta cominciando a capire che è proprio questo turbocapitalismo che divora tutto, senza curarsi del domani, che rischia di consumare il presente senza un'idea del futuro; e quindi abbiamo davvero la necessità di produrre un cambiamento.
Il governo e Confindustria stanno usando questa crisi perché vorrebbero cambiare gli assetti sociali e di potere. Del resto è un po' che lo stanno facendo. Già nel 2001, con il Libro Bianco dell'allora ministro Maroni, il centrodestra e la Confindustria avevano disegnato quello che volevano fare; e oggi stanno cercando di fare esattamente quello che avevano detto allora. L'attacco alla scuola pubblica, il blocco dei contratti, la cancellazione della contrattazione, la cancellazione della democrazia nei luoghi di lavoro, il superamento del diritto a contrattare, l'assenza totale di una politica industriale che fa arretrare questo paese, sono parte di uno stesso disegno.
Ma noi l'abbiamo capito; e proprio per questo vogliamo cambiare la situazione. Vogliamo mettere in campo un'azione che non si esaurisce oggi, ma che sia in grado di cambiare nelle fabbriche, nel territorio, questa situazione.
Ne hanno dette di tutti i colori: sui lavoratori, sulla Fiom, sulla Cgil. Addirittura Brunetta è arrivato ad accusarci di essere un sindacato che difende i fannulloni e i lavativi. Credo sia un falso in atto pubblico, perchè noi, Brunetta, non l'abbiamo mai difeso. Quindi è evidente a tutti che siamo di fronte a delle bugie...
Il caso Fiat... Noi siamo di fronte a una teoria che si vorrebbe far passare in questo paese: per poter investire in Italia bisognerebbe cancellare i diritti e gli orari, per far funzionare le fabbriche in Italia ci vorrebbe il diritto di poter licenziare quando si vuole
E invece noi dovremmo porci un altro problema: perché la Fiat è messa peggio di altre aziende che costruiscono auto? Perché tutti parlano del modello tedesco e in Germania gli stipendi sono il doppio di quegli italiani, lavorano meno e vendono più macchine?
È esemplificativo quello che è successo negli ultimi due incontri che abbiamo avuto con la Fiat. Uno è avvenuto a Torino. C'erano tutti: il governo, le forze istituzionali, tutte le forze sindacali. Marchionne, cui va riconosciuto il parlare con chiarezza, non ha detto solo alla Fiom e alla Cgil «ditemi sì o no». Ha usato quella platea per dire che il suo piano industriale lo ha deciso lui, che non lo discute con nessuno, che non vuole proprio concordarlo con nessuno e che, semplicemente, chiede a tutti anche al governo e alle forze istituzionali semplicemente di dire sì o no.
Naturalmente, in quella sede solo la Fiom e la Cgil gli hanno detto che non va bene e che così non può funzionare.
Io, sinceramente, sono allibito quando la più grande azienda italiana che, come è noto, in questi anni ha avuto tanti finanziamenti pubblici che le hanno permesso di essere quella che è si trova di fronte a un governo e istituzioni incapaci di dire altro che semplicemente «sì».
Vorrei ricordare qui che il primo a dire «no» alla Fiat non è stata la Fiom. Quando la Fiat è andata in Germania per comprare l'Opel e ha presentato i piani industriali... l'IG-Metall gli ha detto di «no», il governo tedesco gli ha detto di «no». Perché, se si assume il modello tedesco, allora bisogna fare una distinzione anche sulla politica industriale. Non è vero che le imprese non abbiano una responsabilità sociale; non è vero che è solo il suo interesse. Lo ribadiamo qui, da questa piazza. Noi, la Fiom, la Cgil, le lavoratrici e i lavoratori italiani, più ancora della Fiat di Marchionne, vogliamo che in Italia si continuino a produrre auto, camion e trattori. Perché mentre lui ha la possibilità di decidere di andare a produrre in giro per il mondo, noi questa alternativa non ce l'abbiamo.
E proprio per questa ragione vogliamo che si affrontino i problemi.
Se c'è un ritardo e si vende meno, è perché in questi anni si è investito poco nell'innovazione dei prodotti e dei progetti; è perché la competizione non la si fa tagliando i salari e i diritti. Ed è sbagliato, per il paese oltre che per i lavoratori, pensare che tu la competizione la vinci solo sui bassi salari. Se c'è un problema di qualità, non si può raccontare che in Italia «non si chiede l'intervento pubblico» e poi si va in Serbia perché ti fanno i ponti d'oro. Non si può raccontare che «in Italia non serve l'intervento pubblico» e poi si va negli Stati uniti perché Obama e i lavoratori mettono a disposizione i loro soldi.
Io laovoglio dire ancora con più chiarezza: se non c'è un intervento pubblico nel nostro paese per orientare gli investimenti, la ricerca, una nuova qualità dello sviluppo, da questa crisi non si esce. Perché quelli che l'hanno determinata non possono venirci a raccontare che sanno loro come se ne esce.
E noi lo diciamo con grande responsabilità, perché è ora di smetterla. Noi non abbiamo semplicemente detto «no» a Pomigliano. Noi abbiamo avanzato delle controproposte. Abbiamo detto che eravamo pronti ad aumentare l'utilizzo degli impianti, perché il contratto che c'è permette di fare più turni. Abbiamo detto che eravamo pronti a discutere di come migliorare la produttività, di come articolare in modo diverso le pause, abbiamo addirittura fatto una proposta che darebbe alla Fiat un utilizzo degli impianti e una capacità produttiva superiore a quella che loro hanno pensato.
Stiamo ancora aspettando la risposta. La verità è che non gli interessa quante macchine si fanno; vogliono affermare l'idea che non c'è più, per le persone che lavorano in fabbrica, il diritto di poter contrattare la propria condizione di lavoro.
Lo dico con franchezza: dire qui che c'è in ballo la Fiom e la Cgil, o che voglion far fuori la Fiom e la Cgil, è solo una parte di verità.
Io penso che siamo di fronte ad un passaggio ancora più in là... E cioè il tentativo della Confindustria, della Fiat e di Federmeccanica, di cancellare il contratto con la derogabilità dei contratti nazionali.
L'obiettivo vero non è semplicemente fare fuori la Fiom e la Cgil, ma di più. E' cancellare il diritto delle persone che lavorano in fabbrica, se vogliono, di poter contrattare, di esser persone libere con la possibilità di far funzionare meglio la fabbrica. Vuol dire farci tornare indietro di cento anni.
E io credo che questo imbarbarimento non è solo inaccettabile, perché peggiora la condizione di chi lavora; ma è inaccettabile perché fa arretrare tutto il paese, fa arretrare il sistema industriale del nostro paese.
Addirittura, nell'ultimo incontro che abbiamo avuto alla Fiat a giugno, in tanti ci spiegavano che sì, Pomigliano era un brutto accordo, però si poteva firmare perché «lì c'è la camorra, perché c'è una situazione difficile». Vi ricordate, allora, in quanti ci hanno spiegato che sarebbe rimasta una cosa isolata, che non si sarebbe estesa? Non solo adesso siamo alla derogabilità del contratto, ma nell'ultimo incontro, il 5 ottobre la Fiat, ci hanno ricordato che se vogliamo sapere quale è il piano industriale (una delle stranezze di questa situazione è che non si sa quali, dove e quando saranno fatti i nuovo prodotti) prima dobbiamo firmare un accordo che permette loro di estendere Pomigliano in tutti gli altri stabilmenti. Anzi. Ci è stato detto che in alcuni casi, forse, potrebbe esserci la necessità di andare anche «oltre Pomigliano».
Ecco, io credo che quando si teorizza che, «se si vogliono i diritti, non si vogliono le fabbriche», bisognerebbe ricordare a queste persone che in realtà noi siamo già in presenza di «fabbriche che non hanno più diritti». E bisognerebbe ricordar loro che il rischio concreto, se passa questo disegno, è che l'art. 1 della nostra Costituzione («l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro») è che noi siamo già di fronte al fatto che la nostra sia una repubblica fondata sullo sfruttamento del lavoro nelle fabbriche e nel paese.
E allora noi diciamo: siamo un sindacato che vuol fare degli accordi, del resto è quello che facciamo sempre, è quello che facciamo ogni giorno in migliaia di fabbriche. Ma, se si vuole davvero far funzionare meglio le fabbriche, allora si riaprano le trattative e si mettano le lavoratrici e i lavoratori in condizione di poter votare, di poter decidere e di poter contrattare le proprie condizioni.
Voglio rilanciare con forza quelle che sono le ragioni della nostra piattaforma, della nostra manifestazione, che è stata capace di mettere assieme tante persone diverse. Vedete, quando chi studia, chi è precario, chi lavora nel pubblico impiego, chi è metalmeccanico, chi è pensionato... trova di nuovo la possibilità di avere un terreno comune di azione che rimette al centro lavoro, diritti, un'idea di società finalmente diversa, più giusta, dove la giustizia sociale, l'eguaglianza, la solidarietà tornano ad essere elementi che unificano... io credo che questo patrimonio, è responsabilità di ognuno di noi di non farlo disperdere. Perché questa è la condizione per poter cambiare questo paese.
Per rilanciare con forza l'idea che non dobbiamo aver paura delle parole: il nostro obiettivo, sì, è trasformare questa società ingiusta, che cancella la dignità di chi lavora. La vogliamo proprio cambiare, sì, e lo vogliamo fare a partire dalle fabbriche, dal lavoro, ridando una prospettiva ai giovani e dicendo soprattutto che «è possibile».
Vogliamo una società senza corruzione, senza ladrocinii, come quella che abbiamo invece di fronte.
E allora... Se parliamo di diritti lo diciamo con chiarezza: vogliamo estendere i diritti a tutti, vogliamo l'estensione degli ammortizzatori sociali a tutti.
Diciamolo: in tanti anni ci hanno raccontato che per dare i diritti ai giovani bisognava toglierli a quelli che già ce li hanno. Facciamogli una bella risata in faccia, a chi dice queste cose; diciamogli con molta chiarezza che per noi il problema dell'estensione dei diritti, dello statuto dei lavoratori, degli ammortizzatori sociali fino anche ad arrivare a cose nuove a pensare anche a forme di «reddito di cittadinanza», che affrontano in modo diverso il problema di una prospettiva per i giovani è il terreno su cui noi vogliamo lavorare.
Vedete, tanti parlano, ma se le persone a volte si allontanano un po' dalla politica è perché sono stanchi di parole e bisogna essere coerenti, fare quello che si dice, provare a fare quello che si dice.
E allora io trovo giusto battersi per un fisco più giusto, trovo necessario che i lavoratori dipendenti e i pensionati paghino meno tasse perché sono gli unici che le pagano anche per quelli che evadono. Però ci vuole un po' di coerenza. Non si può venirci a dire che quando il governo ha fatto lo scudo fiscale non se ne è accorto e poi fa finta di manifestare per chedere la «riforma fiscale».
Ci vuole una coerenza. E mi permetto di dire che che questa teoria secondo cui «tutti devono pagare meno tasse», a me non convince tanto. Perchè non è mica vero.
Io penso che bisogna dire con chiarezza che i lavoratori dipendenti e i pensionati devono pagare meno tasse; gli altri ne debbono pagare di più perché hanno evaso il fisco in questi anni. Sono quelli che hanno i servizi pubblici che noi.
E vogliamo estendere i diritti anche ai tanti lavoratori immigrati. Vorrei ricordare che, al di là delle dispute nel centrodestra, noi stiamo ancora pagando la legge Bossi-Fini. Perché fanno finta di discutere tra loro. Ma poi, quando c'è da far pagare, quelli son sempre d'accordo a far pagare noi. Anche questo è un punto: l'estensione dei diritti di cittadinanza.
Diciamo anche: il contratto nazionale. Vedete, si sono incontrati e in dieci righe hanno scritto che non c'è più il contratto nazionale di lavoro. Perché si può derogare. Sapete, quando si dice che si può derogare a un contratto, sia se c'è la crisi sia per fare investimenti, vuol dire che il contratto nazionale non c'è più. E questo determina una competizione selvaggia tra le imprese e tra i lavoratori.
Dobbiamo dire con chiarezza che per noi l'unico contratto davvero è in vigore è quello del 2008, che è stato votato da tutti i lavoratori e che è stato firmato da tutti. Quello è l'unico contratto legittimo e noi lo difenderemo, fabbrica per fabbrica e nel paese, anche arrivando in tribunale, se necessario, per difendere i diritti e il contratto.
Ma penso anche che noi dobbiamo dire di più. Vi facco un esempio personale. Quando ho cominciato a lavorare, quando entravo in fabbrica, dal centralinista al progettista, sotto lo stesso tetto, tutti avevano lo stesso contratto e gli stessi diritti. Oggi se tu vai in un luogo di lavoro scopri che non è più così.
Mentre chi comanda è sempre quello, noi siamo frantumati e divisi, Ci sono diversi contratti: le cooperative, l'appalto, il subappalto, il lavoratore precario. Noi abbiamo bisogno, alla luce anche di questa grande manifestazione, di dire con chiarezza che l'obiettivo di un sindacato degno di questo nome è riunificare i diritti in questo paese. E per fare questo, se c'è bisogno di pensare a qualcosa di nuovo, io credo ci sia bisogno non di meno contratti, non di questa storiella secondo cui ognuno si può contrattare nella sua fabbrica o nel suo territorio (se non c'è un contratto nazionale che fissa i diritti per tutti, la contrattazione è una contrattazione a perdere, fabbrica per fabbrica). C'è una novità da dire: bisognerebbe pensare a un contratto dell'industria, a uno dei servizi, un altro del pubblico impiego. Dobbiamo cioè pensare a come si riunificano i lavoratori.
Tanti ci hanno chiesto: «perché nelle parole d'ordine avete parlato di legalità?» Ne abbiamo parlato perché basta vedere quello che è successo all'Aquila; perché, mentre questi raccontano che vogliono fare il ponte sullo stretto di Messina, nel frattempo fanno chiudere tutte le fabbriche che ci sono in Sicilia. Cosa dovrebbe trasportare quel ponte se le fabbriche non ci sono più? Perché, anziché sviluppare le energie alternative, si inventano di fare il nucleare. Perché in questo paese l'unico elemento che ormai c'è dappertutto, l’elemento di unità, è l'estensione dell'illegalità, ormai diventata un sistema.
Noi lo vogliamo combattere con un nuovo modello e dobbiamo anche dire che in nome della legalità, per avere dei soldi da reinvestire, bisogna anche ritirare le truppe dall'Afhganistan. E un fatto di democrazia, è un fatto centrale.
Ci sono altri due elementi.
Noi vogliamo che il lavoro torni ad essere davvero interesse generale di questo paese e vogliamo che le persone possano realizzarsi nel lavoro che fanno.
Ma per fare questo abbiamo bisogno di diritti e anche che sia possibile contrattare in fabbrica la loro condizione.
E infine, vedo due elementi di fondo. La democrazia è attaccata ad ogni livello: quella dell'informazione, dei giornali, della magistratura. Ma anche nelle fabbriche. Vedete... Perché esistono gli «accordi separati»? Semplicemente per un fatto. Perché alle lavoratrici e ai lavoratori è impedito di poter votare e decidere sugli accordi che li riguardano. Per questa ragione, noi diciamo che serve una legge sulla democrazia, che dia questo diritto e sancisca che ogni accordo aziendale, nazionale, interconfederale, per essere valido, deve essere approvato dalla maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori.
Non può più essere che, se i sindacati son d'accordo tra loro, allora non c’è problema. Questo deve essere un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori, perché questa è la condizione per poter ripristinare l'unità.
Vedete, l'unità sindacale è innanzitutto un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori; la democrazia è la condizione per poterla rilanciare. E noi, da qui, lo proponiamo con forza: questa è la prima cosa da fare, questo è il primo terreno, se si vuole recuperare un elemento unitario.
E infine voglio davvero concludere su questo. Ci pensavo mentre ascoltavo anche i compagni di Pomigliano e di Melfi.
Se oggi possiamo dire che è successa una cosa straordinaria, che c'è una novità in questo paese, che il lavoro è tornato al centro della discussione sociale e politica - lo dico sommessamente - non è semplicemente perché la Fiom ha detto «no» o la Cgil ha detto «no».
No. E' successo qualcosa di più. Perché se non c'erano i lavoratori di Pomigliano che votavano «no» a quell'accordo, se non dicevano che i diritti non si scambiano con l'occupazione, se non c'erano i tre delegati di Melfi che, di fronte alla Fiat che gli dice «vi faccio lavorare, però non ti metto in fabbrica» (e loro gli hanno risposto che non si fanno pagare dalla Fiat, vogliono lavorare)... Se non c'era questo scatto di dignità non c'era questa manifestazione.
Questo è l'elemento di novità che ci dà una speranza, che ci dà la forza, che ci dice che è possibile cambiare. Ma è proprio per questa ragione - e lo dico sommessamente - perché c'è questa piazza, perché c'è questa dignità, che noi abbiamo il dovere di continuare questa battaglia.
E penso che sia assolutamente necessario che nel continuarla si arrivi alla proclamazione dello sciopero generale di tutti i lavoratori nel nostro paese. Perché la democrazia e un nuovo modello di sviluppo non si costruiscono se non c’è la capacità di cambiare. Questo elemento ci dà la forza. Grazie davvero a tutti. Viva la Fiom, viva la Cgil, viva i lavoratori!!
Grazie a tutti.
Tre mesi per vivere
18.10.10
Sindacato, la difficile difesa del lavoratore globale
Relitto anacronistico della rivoluzione industriale. Superfluo come soggetto contrattuale: i contratti collettivi di lavoro sono superati. Incapace di rappresentare gli interessi dei lavoratori globali. Questo dicono del sindacato manager e politici, e anche non pochi operai e impiegati. A tutto ciò si aggiungono le divisioni interne e gli attacchi contro alcune organizzazioni. Vediamo allora qualche dato.Nei paesi dellEuropa occidentale, tra il 1981 e il 2007 i sindacati, Pubblica Amministrazione esclusa, hanno perso in media oltre la metà degli iscritti. Nello stesso periodo la quota dei salari sul Pil è scesa in media di dieci punti. In Italia, dove un punto di Pil vale 16 miliardi, è scesa di dodici.In Usa, grazie alle politiche antisindacali cominciate con la presidenza Reagan, i salari dei lavoratori dipendenti sono oggi al medesimo livello, in termini reali, del 1973.In Germania, dove almeno sui grandi temi i sindacati procedono in modo unitario, ed hanno per legge un peso effettivo nel governo delle imprese, il salario netto superava nel 2008 i 20.000 euro. In Italia, dove i sindacati marciano disuniti e nel governo delle imprese contano zero, il salario netto era sotto i 15.000 euro.Grandi imprese della Ue che intrattengono buone relazioni con i sindacati di casa, quando aprono uno stabilimento in Usa mettono in atto pratiche pesantemente antisindacali. Per dire, assumono stabilmente gli esterni che si sono prestati a lavorare al posto dei dipendenti in sciopero. Motivo? La legislazione sulla libertà di associazione sindacale è arretrata in Usa rispetto alla Ue; per di più molti giudici non la applicano.Questi dati dicono che nei paesi sviluppati quando i sindacati sono deboli le retribuzioni, insieme con altri aspetti delle condizioni di lavoro, virano al ribasso. Ovviamente nei paesi emergenti va peggio. Qui i sindacati non esistono, o hanno scarso potere contrattuale. Risultato: a parità di produttività e di potere dacquisto, i salari sono da due a cinque volte più bassi, gli orari assai più lunghi, i giorni di riposo e di ferie ridotti al minimo. Sono anche paesi dove chi sostiene il ruolo del sindacato rischia la vita. In Colombia, solo nel 2006 sono stati assassinati 72 sindacalisti. Nelle Filippine le vittime sono state 70 in quattro anni. Ancora nel luglio scorso, due fratelli, dirigenti del sindacato dei tessili, sono stati uccisi in Pakistan. Le colpe di tutti loro? Chiedevano condizioni di lavoro più decenti per i compagni.Le cose sono un po diverse in tema di capacità del sindacato di rappresentare gli interessi dei nuovi lavoratori: quelli che flottano tra una quarantina di contratti atipici, fanno mestieri inesistenti dieci anni fa, o lavorano soltanto con limmateriale che scorre sullo schermo del Pc. È vero che tale capacità appare carente. Ma non si può imputarla solo al ritardo dei sindacalisti nel comprendere le nuove realtà produttive. Il fatto è che dette realtà sembrano costruite appositamente per ostacolare il sindacato nel rappresentare gli interessi dei nuovi lavoratori.Si prenda il caso – che qui si semplifica, ma è reale – di un piccolo elettrodomestico venduto nei supermercati. Le 50-60 parti di cui è composto sono fabbricate in una dozzina di siti posti in dieci paesi diversi, e controllati da multinazionali che hanno sede altrove. In ciascun sito gli addetti appartengono a molte nazionalità diverse. Lassemblaggio finale dellapparecchio può avvenire in uno stabilimento sito in Umbria o in Puglia, per mano di lavoratori italiani, nigeriani, moldavi, magrebini. Essi fanno capo, pur lavorando insieme, a cinque o sei aziende differenti; inoltre tra di essi si contano una dozzina di tipi di contratti di lavoro diversi. La loro produttività dipende da componenti fabbricati a Taiwan o nel Kerala, e dalla puntualità di viaggio di innumeri aerei, navi container, tir e furgoncini, sui quali quei componenti hanno viaggiato per 30.000 chilometri. In presenza di un simile modo di produrre, per il sindacato "rappresentare gli interessi" dei lavoratori non è diventata soltanto una fatica erculea: non si capisce nemmeno che cosa voglia dire. Che è precisamente il risultato che gli architetti della globalizzazione volevano ottenere.Quanto ai lavoratori della conoscenza, intesi come coloro che producono valore aggiunto trasformando informazioni in conoscenze e queste in altre informazioni mediante apposite tecnologie, si possono suddividere in due gruppi: quelli che di un sindacato non sentono il bisogno, e quelli che ne avrebbero un bisogno estremo, ma di mezzo ci sono, a impedirglielo, le leggi sul lavoro. Di un sindacato non sanno che farsene i traders, i negoziatori di titoli al computer che guadagnano da centomila euro allanno in su. Non sentono la necessità di un sindacato le decine di migliaia di informatici che han messo in piedi unefficiente azienda propria, magari individuale; né i data miners che trovano ogni genere di dato su qualsiasi persona e impresa scavando nei meandri della rete. Restano fuori gli operai del Pc, tipo molti addetti ai call center che lazienda retribuisce in funzione di quanti secondi riescono a trattenere qualcuno al telefono. Questi avrebbero sì bisogno di un potente sindacato da lavoratori dipendenti, quali in realtà sono; ma il legislatore permette cortesemente allazienda di applicare loro letichetta di lavoratori autonomi "a progetto", e la tutela del sindacato si fa più complicata e lontana.
14.10.10
Con la Fiom: sabato LGS a Roma
Per informazioni o iscrizioni alla manifestazione:
Matteo Pintucci, CGIL, 348.5908213
Ecco alcuni contributi di intellettuali:
http://www.fiom.cgil.it/eventi/2010/10_10_16-manifestazione_nazionale/default.htm
13.10.10
Troppo vero per essere dimenticato
Aboud, 12 ottobre 2010 - Una delle cose che si scoprono viaggiando tra Israele e i Territori occupati è che, come per quegli ebrei che hanno alle spalle l’assurdo dramma della shoà, anche dietro ogni palestinese si scopra una tragedia e come dietro ogni pietra si nasconda una storia drammatica.
Uno degli elementi fondamentali per comprendere la situazione Israelo-palestinese è quello storico, aspetto di cui generalmente si conosce molto poco. Nell’immediato dopoguerra, negli anni in cui lo stato israeliano, tutt’ora senza confini né costituzione definiti, creava una nazione ispirata a modelli occidentali, si affermava quella che poi diventerà la versione ufficiale sulle vicende che diedero vita a Israele. Difficilmente la realtà dei fatti così come si sono svolti avrebbe potuto essere accolta positivamente dall’opinione pubblica mondiale, risultando dura da accettare persino da quella moltitudine di ebrei che anche in buona fede andavano occupando quella che non era certo «una terra senza popolo per un popolo senza terra». Si trattava invece di una regione che non cessò mai di essere abitata, un territorio che, oltre a essere ricco di memoria, era anche la terra delle popolazioni semitiche da sempre presenti nella zona con le loro greggi, le loro attività artigianali, le loro colture, culture e religioni ebraica, cristiana, islamica.
Il mito di una nazione israeliana che si va costruendo pacificamente, vedendosi poi costretta a imbracciare le armi per difendersi da attacchi da parte degli arabi tali da minacciarne l’esistenza, non è sostenibile sulla base dei documenti che, sempre più numerosi, è possibile consultare. La realtà dei fatti che avvennero allora viene confermata dalle testimonianze di chi, tutt’ora vivente, venne cacciato da uno dei circa 600 villaggi arabi sfollati e distrutti dall’avanzata dell’esercito israeliano, in quello che da sessant’anni è l’ex territorio della Palestina. Alla ricostruzione della realtà dei fatti danno inoltre il loro contributo persino ex combattenti israeliani, con i racconti dei loro ricordi, di quando portavano avanti la guerra di conquista di quello che divennero le terre dell’attuale Israele.
E’ nota la storia degli oltre 700.000 profughi palestinesi del 1948, presente nei documenti dell’ONU che dovette gestirne l’esodo, testimoniata anche dalle immagini che ritraggono una miriade di uomini, donne, vecchi e bambini in fuga, assieme ai pochi oggetti che erano riusciti a salvare prima di lasciare i propri villaggi. Tutta gente che verrà smistata nei tanti campi profughi, i quali sono ancora lì proprio a testimonianza storica di ciò che il popolo palestinese chiama la Nakba, la catastrofe. E la memoria è fisicamente visibile nei campi, appunto, dove i nomi delle strade richiamano simbolicamente i nomi dei villaggi da cui provengono le famiglie che abitano lì ormai da più generazioni. A volte questi stessi nomi sono scritti su segnavia nonostante che seguendone le indicazioni non si giungerebbe più ad alcun abitato.
Molto meno nota è la vicenda parallela dei profughi rimasti nello stesso periodo all’interno di Israele, degli arabo-israeliani, musulmani e cristiani, i quali sono tuttora in grado di accompagnarvi nei luoghi che i loro padri, i loro nonni hanno dovuto abbandonare tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 o persino più tardi. Come è accaduto per il villaggio di Saffran, sgombrato nel 1957 nel giro di due giorni e quindi coperto, come sempre in questi casi, da un bosco piantato di proposito con la doppia finalità di cancellare la memoria e impedire un recupero abitativo dell’area, e ai cui margini sorge ora la località ebraica di Zappori. Ma le rovine dell’abitato arabo sono ancora visibili tra gli alberi e gli arbusti, nei luoghi dove ci hanno accompagnato i “profughi interni”, deportati in una Nazareth che passò all’improvviso da dieci a trentamila abitanti (alcuni, tra i vecchi, hanno ancora il documento che testimonia la loro nascita a Saffran!), e in cui tuttora il 75% della popolazione è costituita dai profughi e dai loro figli, mentre gran parte delle terre di chi lì viveva sono state confiscate per l’edificazione di Nazareth Illit, una zona residenziale che è ormai tre volte più estesa della città originaria, oggi ai suoi piedi.
Bisogna andare lungo i confini di boschi innaturali e cercare le pietre vive, e ascoltare i loro ricordi.
12.10.10
Vita quotidiana in libertà limitata.
Nonostante l’occupazione e la crescente pressione economica che creano povertà, disoccupazione e sofferenza, i palestinesi continuano ad avere la loro quotidianità come qualunque uomo, donna o bambino italiano. Ossessionati dai segni dell’oppressione e del disagio, troppo spesso sottovalutiamo questi aspetti considerandoli a torto di secondaria importanza.
Università di Hebron: la troviamo inaspettatamente frequentata per l’80% da donne, perché, al contrario dei ragazzi, non possono frequentare atenei lontani dagli occhi delle proprie famiglie.
Pur girando con il velo le studentesse non si rivelano timide nel parlare dei loro sogni, della loro vita, o nel mostrare curiosità sulla nostra. Gli edifici brulicano di studenti in moto perpetuo sulle scale e nei corridoi. A 27 anni Mohammed è ancora studente, ha passato 7 anni nelle prigioni di Israele perché durante la seconda intifada si è opposto alla demolizione della sua casa. Dal suo inglese stentato capiamo che sono in molti ad aver condiviso la stessa sorte.
Bet Jala: Famiglia Kassan; Suad e Sharmi sono genitori di 5 figli. Suad ha partorito il quinto lottando contro il coprifuoco e il checkpoint prima di giungere all’ospedale. Ora i suoi occhi, illuminati da uno sguardo vitale, ci raccontano il suo lavoro di insegnante, la vita di casa, la gita a Gerusalemme con i figli grazie a un permesso speciale. Lui, di poche parole, sorride calmo mentre gioca a scacchi con il figlio minore. Guarda sport in TV: è una passione! Della squadra di basket del circolo dei greco-ortodossi è il capitano.
At Twani: villaggio di pastori a sud di Hebron, esempio di lotta nonviolenta; Kifah è diventata leader di una cooperativa di donne.
Sia chiaro, non vuole sottrarsi ai compiti della donna in un villaggio beduino, come fare i lavori di casa, badare ai bambini, roba da nulla secondo i mariti! Ma si afferma, insieme alle altre donne del villaggio, con il lavoro cooperativo. Questo vento di cambiamento le ha sospinte fino a Tel Aviv, con l’aiuto di alcune volontarie. Impensabile per loro, che il mare non l’avevano mai visto prima! Nei loro vestiti lunghi hanno fatto il bagno per ore.
Seppur piccole, significative lotte quotidiane, dato che i mariti più rigidi hanno preteso addirittura di scortarle. Gli altri, a casa, hanno capito che il mestiere di donna non è così semplice.
Ecco come in un villaggio beduino, costantemente minacciato dai coloni, si fa strada coraggioso un segno di libertà.
Ramallah: qui la vita è più frenetica: ristoranti, locali notturni e cinema. La gente veste curata e tutto sembra diverso rispetto a Betlemme, Hebron o Nablus. Dietro a questa vetrina, Saed, 26 anni. Durante la seconda Intifada, nel 2002, è stato usato come scudo umano dai soldati israeliani, ha visto la casa requisita dagli stessi, un amico polverizzato da un missile mentre andava a soccorrere un ferito. Ringrazia la sorte di essere sopravvissuto e ora vuole vivere senza pensieri: si alza alle 6, va al lavoro, la sera esce fino alle due del mattino. Come un giovane di Tel Aviv, come un giovane qualsiasi.
Villaggio beduino vicino a Gerusalemme: “artisti” italiani hanno costruito una scuola fatta di pneumatici, per eludere gli ordini di distruzione da parte del governo israeliano che impedisce di importare il cemento. I bambini vanno lì ogni giorno e fa tenerezza vederli entrare in classe dopo la ricreazione. Invitati ad un matrimonio, partecipiamo alla festa sotto una tenda. Davanti a un té scopriamo che sono profughi provenienti dal deserto del Neghev. Welcome: dicono che gli italiani sono amici… a volte, diremmo noi.
Ramallah: il mensile This week in Palestine; è una rivista nata da pochi anni che a ogni numero monografico pubblica articoli di gente comune e libera di esprimersi. Vorremmo tradurre alcuni articoli in italiano sulla nostra newsletter Bocchescucite (qualcuno è disponibile?).
La vita, come le piante che spuntano dai pertugi dell’asfalto, non può essere soppressa totalmente. Nelle piccole cose di ogni giorno i palestinesi tengono accesa la speranza. Segni di resistenza politica e culturale. I palestinesi non si arrendono facilmente.
Ci sono però anche segnali allarmanti: il rischio è che anni di speranze tradite portino le persone a vivere alla giornata, senza preoccuparsi di un futuro che non sarà semplice. Il peso dell’occupazione israeliana infatti significa mancanza di libertà di movimento e di autonomia economica. Si tende così a godere delle cose quotidiane, che Israele permette a volte in alcune zone, senza più impegnarsi nella lotta per il cambiamento dello status quo. Questo è il rischio reale: lasciare che Israele continui a erodere terra e spirito fino all’ultima briciola.
Tutti a Raccolta 2010
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8.10.10
Macerata: manifestazione degli studenti delle Superiori contro i tagli alla scuola
Le emozioni di una manifestazione
Macerata, 8 Ottobre 2010. Piazza della Vittoria.
Ore 8:15. La piazza è ancora deserta, arrivo, mi guardo un po' intorno, uno schieramento imponente di forze dell'ordine, ma nessun ragazzo in vista. Sale la preoccupazione e se davvero tutto il lavoro fatto si risolvesse in un nulla di fatto? Comunque era un tentativo da fare, ne è valsa comunque la pena... Passeggio un po' nei dintorni, pensieroso e un po' preoccupato.
Ore 8:25. Arriva il primo gruppetto di persone: una decina di ragazze che si appostano sotto il monumento e subito dopo arrivano Valentina e Stefano, che hanno fatto tantissimo per questa manifestazione. Ci si scambiano le prime impressioni, i dubbi salgono, comincia a sembrare lontano e difficile il primo traguardo che si era stabilito, quella cifra 100 ragazzi alla manifestazione che avrebbe segnato lo spartiacque tra un flop clamoroso e un piccolo risultato per cui un po' di soddisfazione l'avremmo avuta.
Intanto le voci si susseguono, sembra che al Terminal ci siano in attesa altri 200-300 ragazzi, ma la voce poi è leggermente rivista dalla considerazione che magari sono solo ragazzi che sciopereranno ma non parteciperanno alla manifestazione. Già se 200 venissero, sarebbe un successone!
Passano i minuti e ancora silenzio, il cuore batte più forte, l'attesa comincia a farsi sentire, ma poi...
Ore 8:40. Si sente avvicinare un brusio, un parlare ad alta voce, dei fischi che piano si fanno sempre più forti, il cuore rallenta, tutti si è in trepidante attesa, fino alla vista del manifesto che apre la sfilata, “Loro distruggono la scuola, noi la ricostruiamo”, gli occhi mi si illuminano, “proprio uno striscione bello!”. I ragazzi in arrivo non finiscono mai, saranno almeno 100, no, arrivano ancora, perlomeno 200, non finiscono... 300? No, no, almeno 400... Tantissimi ragazzi un corteo festante che si avvicina, non mi pare vero, guardo gli altri la soddisfazione e l'entusiasmo si fa strada tra noi.
Al momento stabilire una cifra precisa non ci interessa, quello che conta è vedere tanti giovani, che hanno dimostrato che non vogliono farsi mettere i piedi in testa da nessuno!
I ragazzi si distribuiscono sulle scale vicino al monumento, si srotolano gli striscioni, i vari cartelli vengono mostrati (notevole quello con lo slogan “Another brick in the wall”, complimenti vivissimi agli autori!). Stefano Casulli apre gli interventi, un breve discorso spesso interrotto dagli applausi dei ragazzi, e ricorda che questo è e sarà un corteo pacifico e che si confida nella loro maturità, nonostante le accuse che possano venire dal governo o dalla Gelmini.
Ore 9:00. Il corteo si muove ci si incammina per Corso Cavour, come dalle premesse il corteo è pacifico, ordinato: un'invasione di campo festante e amorevole! Dalle finestre molti curiosi, ci osservano, continua la sfilata tra canti, cori, applausi, fischi e musica. Per non pochi era la prima manifestazione, il sentimento imperante è di soddisfazione e felicità per qualcosa nato dal nulla.
Ogni tanto qualche pausa, per permettere qualche parola di riflessione, si lanciano cori, a favore della scuola pubblica, contro una riforma cieca e che mette in pericolo il futuro dei giovani.
Si passano i cancelli e si entra tra le vie del centro direzione piazza Cesare Battisti, l'adrenalina a mille e alla fine si arriva sotto la sede distaccata dello Scientifico, tutti seduti a terra, dalle finestre si affacciano degli studenti, credo che vedendo noi manifestanti un po' di invidia e di voglia di stare in mezzo a noi invece che chiusi in classe serpeggi tra loro...
Ore 10:00. Il corteo fa l'ingresso in piazza Cesare Battisti, fisiologicamente qualche persona si è dispersa lungo il percorso, ma tanti ragazzi hanno voluto continuare la protesta e la festa. E' il momento degli interventi, apre le danze ancora Stefano, poi ci sono gli interventi di ragazzi di Officina Universitaria e finalmente lo spazio ai ragazzi delle scuole: moltissimi vogliono parlare, ognuno porta “in piazza” le proprie sensazioni, quello che sente sulla propria pelle, cosa significa questa riforma dal loro punto di vista. Classi di oltre 30 studenti, laboratori cancellati, rischio bocciatura con un'insufficienza senza possibilità di recuperare visto che per la mancanza di soldi non ci sono quasi da nessuna parte corsi di recupero (alcuni meritori professori hanno tenuto i corsi gratuitamente, ma ovviamente la scuola non può reggersi solo su professori così professionali!), scuole fatiscenti e fuori norma, mancanza di infermerie (che invece dovrebbero essere presenti per legge), mancanza di spazi per i ragazzi, problemi per le assemblee di istituto, mancanza di carta igienica e fotocopie a pagamento, eccetera eccetera. Non mi voglio dilungare su queste questioni nonostante siano ovviamente fondamentali, mi interessava scrivere un articolo solo per curare la parte emotiva della manifestazione di oggi, sono sicuro che ci saranno altri che parleranno di contenuti e lo faranno molto meglio di come posso farlo io.
La Questura stima una presenza di ben oltre i 500 ragazzi, la nostra stima di 600 presenti, sembra quindi quasi riduttiva, se me l'avessero detto ieri non ci avrei creduto. Speravo, ed ero molto ottimista, sulla presenza di 300 manifestanti, non avrei mai pensato si riuscisse a superare addirittura i 500. Consideriamo anche che la popolazione scolastica è di circa 5000 studenti, quindi a parer mio siamo di fronte ad un risultato eccezionale.
Ore 11:30. Molti coraggiosi e volenterosi ancora resistono e affollano la piazza; è ora della conferenza stampa, si decide di essere innovativi, di evitare la classica conferenza stampa all'interno di un bar tra quattro persone, ma che sia pubblica e all'aperto. Ci si sposta sotto il loggiato, si preparano le sedie per i manifestanti che interverranno e le sedie per i giornalisti. Iniziano a parlare, vari interventi, parla ancora Stefano a nome del Laboratorio Giovanile Sociale, poi interventi di Officina Universitaria e SPAM, dei rappresentanti dello scientifico, dell'I.T.C., di Ragioneria, dell'ITAS e dell'Istituto d'Arte, e di “semplici” (ma a maggior ragione apprezzatissimi interventi) studenti in particolare del Classico e dell'Istituto Professionale Pannaggi. Buoni interventi da parte di tutti, ci tenevo però sottolineare l'intervento di Alessia Cartechini, che nonostante l'emozione di parlare davanti a dei giornalisti, ci ha regalato un contributo di spessore, molto lucido e preciso. Questo senza nulla togliere a tutti gli altri che oggi hanno parlato e che vanno ringraziati per il coraggio e per l'apporto più che positivo.
Ore 12:00. La manifestazione è praticamente giunta al termine, alcuni capannelli di ragazzi, ancora rimangono a chiacchierare, anche questo è un momento molto bello, il contatto con loro, gli studenti dell'oggi e il nostro futuro, il veder che puntare su di loro è stato molto producente. Mediamente ho 10 anni di più dei ragazzi con i quali sto chiacchierando e sentire che da parte loro c'è maturità, c'è voglia di cambiare le cose e di intraprendere quel cammino che con oggi non segna la fine ma solo l'inizio, quindi anche questa una poderosa risposta alle accuse di saper dire solo “no”, infatti si continuerà a lavorare insieme, tra le varie realtà cittadine (e non solo, che emozione conoscere ragazzi venuti a manifestare a Macerata, da Servigliano, da scuole di San Ginesio, Tolentino e Recanati!). Beh se questo è il nostro futuro, ci sono buone premesse, anzi ottime, sta anche a noi lavoratori, cittadini, universitari, aderenti ad associazioni, fare in modo che loro abbiano gli strumenti per far valere i loro diritti, per far sentire la loro voce e soprattutto per far fruttare il loro potenziale.
Aperitivo, si continua a scambiarci opinioni e ci si avvia verso casa.
L'adrenalina piano piano scema e comincia a farsi viva la stanchezza, siamo esausti, sono senza voce per quanto ho urlato, ma la felicità e la soddisfazione per quanto visto sono i sentimenti predominanti.
Volevo chiudere con la cosa più importante: i ringraziamenti.
In primis ai rappresentanti dello scientifico Caterina Recchi, Alessia Cartechini, Jacopo Cipriani e Dario Francesco Pinna, dalla loro telefonata è nata l'idea e mi piace ancora ricordare come l'incontro con loro sia avvenuto sulle scale dello scientifico.
Ringrazio specialmente perché sono stati i ragazzi a darci la forza e il coraggio di fare questa manifestazione, noi all'inizio eravamo scettici, una manifestazione, a Macerata (!), il rischio di flop e di avere una cinquantina di persone era troppo alto, ma loro hanno insistito, ci hanno creduto fino in fondo si sono dati da fare, per diffondere la voce e per lavorare perché oggi tutto andasse per il meglio e che oggi possiamo parlare di grande successo.
Poi tutti i ragazzi che sono venuti all'assemblea generale alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove si è discusso di riforma e dove si sono visti tanti ragazzi che fuori dall'orario scolastico hanno portato il loro contributo, sempre per sottolineare la loro voglia di informazione e di far sentire la propria voce alla faccia di chi dice che i ragazzi scioperano solo per non andare a scuola!
Infine e direi ringraziamento fondamentale a tutti i ragazzi che sono scesi in piazza, che hanno manifestato, cantato, gridato e che si sono comportati in maniera civile ed impeccabile.
E l'abbraccio con Stefano e Valentina a fine manifestazione, scalda il cuore.
Daniele Benedetti – Laboratorio Giovanile Sociale Macerata
Gli studenti scendono in piazza: "Così tagliate il futuro"
Anche a Macerata, come in altre 80 città italiane, questa mattina gli studenti hanno protestato contro il Ddl Gelmini. Un corteo composto di più di 500 persone, secondo le autorità, è partito questa mattina da piazza della Vittoria per arrivare fino in piazza Cesare Battisti dove la manifestazione si è conclusa con una conferenza stampa. «Saremmo stati molti di più – ha precisato Stefano Casulli, LGS Macerata - ma in seguito alla riforma la partecipazione allo sciopero incide sulla condotta e anche chi, nel giorno dello sciopero, è assente per malattia deve portare un certificato.» i 500 non hanno comunque fatto sentire la mancanza dei compagni e si sono attrezzati con striscioni e t-shirt sui quali apparivano gli slogan scelti per comunicare un malessere nei confronti della nuova situazione scolastica. «La protesta è partita dagli studenti liceali – precisa Casulli – che ci hanno chiesto aiuto per l’organizzazione alla quale poi hanno aderito i sindacati, i gruppi studenteschi, Officina Universitaria, il Collettivo Spam. Questa non è una manifestazione partitica ma chiediamo al sindaco e a tutte le autorità di manifestare la posizione della città che è contraria al decreto Gelmini.»
Sono stati i rappresentanti degli studenti delle diverse scuole maceratesi, con le loro testimonianze dirette, a ricostruire come si presenta attualmente la realtà scolastica.«Tagliare fondi alla scuola.– ha detto Luca Sagripanti dell’Itas – vuol dire tagliare il futuro. A chi affiderete il Paese’ A qualcuno che non saprà dirigerlo perché non ha avuto l’opportunità di formarsi.» Le proteste non hanno però solo una base ideale, lo ha sottolineato Caterina Recchi del Liceo Scientifico “Galilei”: «I tagli li sentiamo sulla nostra pelle. Le classi sono di 30 persone, le ore di scuola diminuiscono e non ci sono neanche i professori di sostegno. Per fare le assemblee di istituto dobbiamo chiedere un contributo di 4 euro agli studenti, che già pagano la tassa di iscrizione, per affittare il Cinema Italia.» L’elenco dei problemi che riguardano il mondo scolastico è andato avanti molto a lungo: Iacopo Cipriani del Liceo Scientifico “Galilei” ha parlato dell’edilizia fatiscente «troppi soldi per l’esercito e pochi per le nostre classi», Paolo Giorgi dell’Itc Gentili ha richiamato l’attenzione sui problemi di sicurezza e ancora un rappresentante dell’Istituto artistico ha elencato tutto ciò che manca nell’istituto: «Non facciamo gite, non abbiamo i colori, ci cadono addosso pezzi di intonaco, per andare in bagno quando siamo al piano terra dobbiamo salire fino all’ultimo piano e per giunta la carta igienica da noi non esiste, neanche le bidelle l’hanno mai vista.»
Ha le idee molto chiare Alessia Cartechini del Liceo Scientifico Galilei: «Tutti hanno il diritto di essere considerati studenti, qualunque sia la loro media dei voti. In una classe di 30 persone non è così. Abbiamo visto che anche il personale Ata è stato ridotto. Noi abbiamo 10 Ata, di cui 3 diversamente abili, e questo ci fa piacere perché hanno diritto ad un posto di lavoro, per 1000 studenti. Negli anni diverse classi sono state smembrate e gli insegnanti cambiano continuamente, anche nelle materie importanti, modificando di volta in volta il metodo di studio. Ditemi voi se posso uscire da scuola con conoscenze certe e sicure.»Anche Marco Perugini, studente dell’Istituto Pannaggi, che, insieme ai compagni di classe, si è attaccato in fronte un pezzo di nastro adesivo con la scritta “No al bavaglio” ha voluto dire la sua: «La nostra scuola sarà chiusa tra 5 o 6 anni al massimo per mancanza di fondi e così anche i nostri laboratori, all’avanguardia ma costosi. A giugno affronterò la maturità e lo farò con professori che ho appena incontrato e che non mi conoscono.» Presenti anche due studentesse del Liceo Classico “Leopardi”: «i nostri rappresentanti di istituto non sono potuti venire perché i professori, per evitare che partecipassimo allo sciopero, hanno programmato dei compiti in classe. Anche il nostro liceo ha tutti i problemi di cui si è parlato finora, pensate che non c’è neanche un’infermeria e la nostra bidella ha dovuto improvvisarne una in sala professori. Non ci sono bagni per maschi e femmine in tutti i piani e non possiamo uscire tutti dalle stesse scale, alcuni devono usare la secondaria.»
Enrico Gezzi di Collettivo Spam e Francesco Interlenghi di Officina Universitaria hanno deciso con i loro gruppi universitari di essere vicini ai liceali: «Ci sentiamo in dovere di essere al loro fianco per una scuola libera e aperta a tutti. Abbiamo parlato con gli studenti e accolto le loro proteste. Il 16 ottobre saremo a Roma con i lavoratori Fiom e nel tempo continueremo, durante assemblee generali, a confrontarci con i singoli istituti.»La manifestazione, pur partecipata, è stata molto pacifica. Per tutti una certezza: «La protesta di oggi non è un arrivo ma solo una partenza.»
7.10.10
Macerata: sciopero degli studenti delle Superiori contro i tagli alla scuola
5.10.10
Soggettività maceratesi in movimento.
In una situazione di totale dissesto della scuola e generale svalorizzazione del sapere e delle forme di aggregazione e coscienza critica, un germoglio sembra squarciare il torpore di questi anni e par mettere radici nei luoghi dei giovani: i licei, gli istituti tecnici e quelli professionali.
Ed è bene cominciare a nominare i promotori di questo percorso, perché vanno valorizzati e ringraziati coloro che ci mettono la faccia e si mobilitano per difendere i loro diritti e stimolare spazi di relazione, discussione e condivisione di sapere: Jacopo, Alessia, Caterina e Dario, i rappresentanti dello Scientifico che hanno lanciato l'idea di una manifestazione e ci hanno chiesto aiuto per promuoverla e svilupparla. Con loro è nata la Rete degli Studenti – Medi di Macerata. Con loro abbiamo costruito l'evento di oggi: l'assemblea generale delle scuole superiori è stata un vero successo. Molti più di 100 ragazzi, dai 14 ai 19 anni, di 4 scuole diverse, hanno dato vita a due workshops di discussione sulla Riforma dell'Università e della Scuola Secondaria fatta dal Governo Berlusconi.
Con la collaborazione di Officina Universitaria e lo Spam, il Laboratorio Giovani a Sinistra ha così potuto stimolare processi di aggregazione e confronto, aumentato l'informazione e reso coscienti i giovani della difficile situazione del sapere, tra aziendalizzazione e privatizzazione dei servizi.
L'appuntamento non può adesso che essere per
VENERDI' 8 OTTOBRE ALLE ORE 8.30
AL MONUMENTO DEI CADUTI DI PIAZZA DELLA VITTORIA
da dove partirà la manifestazione cittadina cui aderiscono le scuole superiori ed i maggiori sindacati universitari.
Come detto a più riprese oggi, l'8 ottobre potrebbe rappresentare l'inizio di un percorso di ri-politicizzazione e rinascita dello spirito aggregativo nelle scuole, un momento di svolta in quanto di conoscenza, col quale cominciare a riappropriarsi degli spazi e dei diritti che spettano alla popolazione studentesca in primis: è ora di partire. Assieme.
Stefano Casulli – Laboratorio Giovani a Sinistra Macerata
2.10.10
Loro demoliscono la scuola, noi la ricostruiamo!
noi la ricostruiamo
Con il Ddl Gelmini e la Manovra Finanziaria di quest'anno prosegue lo smantellamento della scuola pubblica iniziato con la legge 133/08 e la legge 1/09:
● taglio di fondi e personale scolastico per le scuole pubbliche;
● meno docenti per più studenti = classi più affollate, NO corsi di recupero e potenziamento;
● 0 fondi per le strutture scolastiche;
Noi vogliamo una scuola diversa:
● che valorizza le nostre classi, le nostre vite, i nostri saperi;
● che punta su una didattica differenziata e di qualità;
● che investe sulla sicurezza delle strutture scolastiche;
Per salvare la scuola pubblica, è convocata per
martedi 5 OTTOBRE presso la Facoltà di Filosofia, in C.so Garibaldi
un'assemblea generale degli studenti delle superiori per spiegare la riforma Gelmini.
8 OTTOBRE
una giornata di mobilitazione di tutte le scuole cittadine: SCIOPERO + MANIFESTAZIONE
Aderiscono: Liceo Scientifico, Liceo Classico, Istituto d'Arte, I.T.C., I.T.A.S., Pannaggi