Il punto di partenza del Laboratorio Giovanile Sociale è stato un NO: la presa d'atto dell'incapacità dei partiti, nelle loro proposte, forme e pratiche, di essere punto d'incontro di soggettività e persone nonché punto di snodo di idee politiche condivise. Il riconoscimento di questa lacuna, forse storica o forse contingente, ci spinge a chiederci come sia possibile una Politica che sia Polis, luogo di comunione e comunità, non semplice amministrazione dell'urbs ma vero centro di costruzione di una civitas. Il nostro NO alla politica dei partiti di oggi, ripiegati su rendite di posizione e ancor di più fondati sul monopolio gerarchico nella proposta e nella gestione dell'apparato, non si limita al rifiuto di queste pratiche infelici, ma è figlio di una profonda considerazione: non c'è politica senza partecipazione. La politica, in special modo in una città di piccole dimensioni e grandi potenzialità come Macerata, non può non essere partecipazione e condivisione di luoghi, ricerca collettiva di parole e proposte adatte alle esigenze nostre e della cittadinanza tutta. Il NO ai partiti è un grande NO alla politica della delega, della rappresentanza, delle oligarchie, degli pseudo-tecnici che decidono in piccole riunioni come lavorare per la città.
Ecco perché il Laboratorio si configura come un luogo nuovo, in divenire e da costruire: provare a mettere assieme realtà, pratiche collettive, lavorando su temi specifici e provando ad ascoltare direttamente la voce della gente, partendo dai giovani. Partendo da noi, da ciò che siamo, dalle nostre ansie e paure, ma anche dalla volontà e dai sogni che la Politica deve saper declinare.
Questo percorso, che non risponde alle logiche elettorali di ricerca del consenso, vuole viceversa edificare una casa comune, che fa della partecipazione il suo baluardo, della messa a disposizione dei saperi, della capacità, delle creatività un momento di scambio e arricchimento.
Uno spazio, per certi versi, privo d'identità... de-identitarizzato... Sempre dentro un orizzonte culturale e politico di riferimento, ritengo sia il momento di mettersi in gioco e interrogarsi, porre sul tavolo alcune domande e cercarne risposte.
Solo in questa cornice possiamo inserire i percorsi di ricerca dei prossimi mesi:
-ri-politicizzare le scuole: stimolare forme di aggregazione (politica, culturale, sportiva) in uno spazio sempre più ridimensionato, depotenziato, culturalmente degradato a momento di passaggio (agli occhi dello studente), di controllo (a quelli del professore) e pseudo-costruzione di capitale umano (per i ministri);
-tavole rotonde sul lavoro: da situare anche fisicamente nei luoghi del conflitto (fabbriche, call center, università), vogliono porre in questione il lavoro, nella convinzione che prima che tema cruciale della politica è momento essenziale della vita, luogo di un confronto aspro sulla pelle delle persone il cui valore sembra scomparire definitivamente dinnanzi a casi come quelli di Pomigliano e Melfi;
-incontri sulla questione palestinese: partendo dall'esperienza di alcuni di noi, nonché dalla testimonianza di chi lavora, studia e coopera in Medioriente, provare ad interrogarci su un conflitto paradigma delle oppressioni globali; insomma, non rinunciare a mettere la testa fuori da Macerata e dall'Italia;
-la Scuola della Politica: un momento di formazione su alcune tematiche specifiche (la partecipazione, il lavoro, le nuove frontiere dei diritti) con esperti, studiosi e praticanti della Differenza, nella convinzione che training di auto-formazione permettano di mettere in comune esperienze, fare ricerca condivisa, stimolare proposte e domande, favorire la messa in rete.
Questi sono solo alcuni dei tracciati che possiamo percorrere assieme, con l'obiettivo di costruire una coscienza critica basata sull'informazione, la ricerca e condivisione continua, le buone pratiche sul territorio.
Crediamo che soltanto questo genere di lavoro possa rispondere alla crisi politico-culturale che investe la nostra città come tutto il Paese. L'inadeguatezza attuale di rappresentanti che si reputano classe dirigente non fa scomparire la cruciale questione della rappresentanza e del momento elettorale; tuttavia la nostra convinzione è che solo un lavoro sul territorio che riorganizza lo stare assieme e la collaborazione, risponde ai problemi attraverso micro-pratiche anche quotidiane, possa generare quel mutamento di humus di cui il Paese tutto avrebbe bisogno.
Ecco perché il Laboratorio si configura come un luogo nuovo, in divenire e da costruire: provare a mettere assieme realtà, pratiche collettive, lavorando su temi specifici e provando ad ascoltare direttamente la voce della gente, partendo dai giovani. Partendo da noi, da ciò che siamo, dalle nostre ansie e paure, ma anche dalla volontà e dai sogni che la Politica deve saper declinare.
Questo percorso, che non risponde alle logiche elettorali di ricerca del consenso, vuole viceversa edificare una casa comune, che fa della partecipazione il suo baluardo, della messa a disposizione dei saperi, della capacità, delle creatività un momento di scambio e arricchimento.
Uno spazio, per certi versi, privo d'identità... de-identitarizzato... Sempre dentro un orizzonte culturale e politico di riferimento, ritengo sia il momento di mettersi in gioco e interrogarsi, porre sul tavolo alcune domande e cercarne risposte.
Solo in questa cornice possiamo inserire i percorsi di ricerca dei prossimi mesi:
-ri-politicizzare le scuole: stimolare forme di aggregazione (politica, culturale, sportiva) in uno spazio sempre più ridimensionato, depotenziato, culturalmente degradato a momento di passaggio (agli occhi dello studente), di controllo (a quelli del professore) e pseudo-costruzione di capitale umano (per i ministri);
-tavole rotonde sul lavoro: da situare anche fisicamente nei luoghi del conflitto (fabbriche, call center, università), vogliono porre in questione il lavoro, nella convinzione che prima che tema cruciale della politica è momento essenziale della vita, luogo di un confronto aspro sulla pelle delle persone il cui valore sembra scomparire definitivamente dinnanzi a casi come quelli di Pomigliano e Melfi;
-incontri sulla questione palestinese: partendo dall'esperienza di alcuni di noi, nonché dalla testimonianza di chi lavora, studia e coopera in Medioriente, provare ad interrogarci su un conflitto paradigma delle oppressioni globali; insomma, non rinunciare a mettere la testa fuori da Macerata e dall'Italia;
-la Scuola della Politica: un momento di formazione su alcune tematiche specifiche (la partecipazione, il lavoro, le nuove frontiere dei diritti) con esperti, studiosi e praticanti della Differenza, nella convinzione che training di auto-formazione permettano di mettere in comune esperienze, fare ricerca condivisa, stimolare proposte e domande, favorire la messa in rete.
Questi sono solo alcuni dei tracciati che possiamo percorrere assieme, con l'obiettivo di costruire una coscienza critica basata sull'informazione, la ricerca e condivisione continua, le buone pratiche sul territorio.
Crediamo che soltanto questo genere di lavoro possa rispondere alla crisi politico-culturale che investe la nostra città come tutto il Paese. L'inadeguatezza attuale di rappresentanti che si reputano classe dirigente non fa scomparire la cruciale questione della rappresentanza e del momento elettorale; tuttavia la nostra convinzione è che solo un lavoro sul territorio che riorganizza lo stare assieme e la collaborazione, risponde ai problemi attraverso micro-pratiche anche quotidiane, possa generare quel mutamento di humus di cui il Paese tutto avrebbe bisogno.
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