Il commento dell'autore di "Jours tranquilles à Gaza" sui colloqui diretti israelo-palestinesi che si aprono oggi a Washington
di Irene Panighetti
Gerusalemme, 2 settembre 2010, Nena News – “Questi ennesimi incontri non porteranno a nulla, la gente a Gaza ne è convinta, ha la stessa disillusione che visse per la conferenza di Annapolis”: commenta così la stringente attualità Karim Lebhour, giornalista francese di Radio France Internationale che vive a Gerusalemme, invitato qualche giorno fa dal centro culturale francese per presentare il suo libro Jours tranquilles à Gaza (edizioni Riveneuve). “Sono negoziati inutili –ha spiegato- perché a tutti va bene lo status quo: a Israele, che può continuare a colonizzare la Cisgiordania; a Fatah, che riesce a stare al governo anche se il vincitore delle elezioni, democratiche ma non riconosciute dalla comunità internazionale, fu Hamas; ad Hamas, che almeno ha uno stato, seppur minuscolo e che, paradossalmente, potrebbe essere l’unico stato palestinese ad oggi possibile”. Dopo anni di osservazioni e di condivisione della vita politica e quotidiana della popolazione di Gaza il giornalista si è persuaso che “a Israele va bene che ci sia Hamas a Gaza, altrimenti lo avrebbe già eliminato, ha i mezzi per farlo, tra omicidi mirati e attacchi missilistici. Dal 1991 Israele ha iniziato ad isolare Gaza, cercando di perseguire l’intento di dividere sempre più la Striscia dalla Cisgiordania. Ha via via revocato i permessi di lavoro e poi ha messo in atto vere e proprie operazioni belliche, tra cui Piombo Fuso, che per me è iniziata, in modo indiretto, il 4 novembre, il giorno delle elezioni negli Usa. Quel giorno Israele violò la tregua con Hamas, con incursioni nel territorio della Striscia. Non è stato Hamas a romperla, ma Israele –insiste Lebhour- che non solo è riuscito a fare di Gaza una realtà assolutamente diversa dalla Cisgiordania, ma che ha sempre puntato a sfruttare la Striscia come pretesto per perseguire il suo fine politico, che, in questo momento, a me sembra profilarsi così: ridurre le restrizioni a Gaza, magari come frutto di questi incontri, dare l’illusione di una piccola libertà per poter continuare, al contrario, a tenersi la Cisgirodania come zona da colonizzare”.
Parole chiare e piuttosto insolite per un pubblico israeliano che, come è apparso lampante alla presentazione del libro, non ha alcuna idea di come si viva a Gaza, ma nemmeno in Cisgiordania, per un pubblico che “per lo più vuole dimenticare il conflitto, vivendo un una bolla come accade a Tel Aviv”, ha osservato Lebhour. Le domande lo hanno dimostrato con chiarezza, in particolare quelle relative a Gilat Shalit, che hanno fatto capire come una questione di poco conto nell’economia reale della situazione della Striscia, sia invece percepita come dirimente da chi resta alla superficie delle questioni. “Andare oltre il banale, prodotto della sovraesposizione mediatica in cui si trova la Palestina, andare al di là della caricatura per smentire le false credenze e le leggende metropolitane, per dare l’idea dell’assurdità della situazione di Gaza, resa tale dalla politica israeliana: questo è ciò che mi ha spinto a scrivere questo libro- precisa l’autore, che su Shalit ha fornito la riposta che riceveva quando lui faceva la stessa domanda alla gente di Gaza: “Shalit? E chi è? Un prigioniero di guerra, tutto qui. Citatemi un solo prigioniero palestinese prigioniero da anni in Israele…” Certo, il giornalista è convinto che per un solo uomo la popolazione di Gaza abbia dovuto pagare un prezzo troppo alto, ma è anche certo che “questo non si dirà mai in situazioni pubbliche, nelle quali prevale la propaganda di Hamas”. In proposito del partito al governo Lebhour ha osservato come dall’estate 2009 ci sia stato un cambiamento, “una tentativo di islamizzare la società ma in modo insensato, proponendo misure che cozzano contro le tradizioni secolari, per esempio il tentativo di vietare di fumare il narghilé in pubblico, e che quindi sono respinte dal corpo sociale stesso”. Infine il giornalista ha voluto precisare agli israeliani presenti al Centro di Cultura Francese e che dimostravano di non sapere affatto la vera situazione dei Gazaui, che “a Gaza non c’è crisi umanitaria, la gente non muore di fame. C’è una crisi di dignità, la cui responsabilità ricade sull’assedio e sulla politica di Israele”.
tratto da http://www.nena-news.com/, portale di informazione indipendente sulla Palestina
grazie Irene, splendida persona con la quale abbiamo avuto la fortuna di scambiare idee e sensazioni. grazie a tutti quelli che cercano di contrastare la disinformazione mirata e la confusione sistematica della realtà, con la puntualità e la chiarezza del vissuto,, visto e toccato con mano. Di questo il popolo palestine ha bisogno.
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