Un
cantiere è un luogo di produzione.
In
un cantiere si lavora, si pensa, si elabora, si trasforma e si crea;
si mette in moto un processo, ci si muove e niente è mai concluso.
Il
cantiere è aperto, vive di elementi grezzi che vengono composti,
assemblati, montati e smontati, recuperati, riutilizzati, riciclati.
Il
cantiere è lavoro e movimento fusi insieme. Lavoro mai concluso,
movimento che riafferma sempre l'agire di qualcuno, verso un fine o
in quanto tale.
Un
cantiere è lavoro e movimento collettivi: cantiere sociale.
Affermarne
la socialità è riconoscere il carattere comune delle sue
produzioni, la natura collettiva di ogni sua azione; è desiderarne
l'apertura alla società tutta. L'intrecciarsi del ciclo produttivo
con il tessuto esperienziale e conoscitivo di una società, di una
città, che si vorrebbe comunità.
Un
cantiere che non vuol essere un Centro, ma un nodo di mescolamento
delle Periferie del nostro tempo, dei loro bisogni e desideri, il
punto di gestazione dei cambiamenti possibili.
Dire
che un cantiere è sociale significa compiere un gesto politico di
riconoscimento: il lavoro, in ogni sua forma, è collettivo e privo
di una proprietà. Il lavoro del Cantiere Sociale è sempre di
chiunque.
Un
cantiere senza padrone. Lo stridere di una contraddizione tra il
cantiere (mille son rinchiusi, privati, espropriati) e la sua
socialità: il nostro atto rivoluzionario.
Fuoco
dei cambiamenti possibili, questo è il nome che diamo al nostro
gesto rivoluzionario che è pratica e risultato come tale:
cartografia di un territorio e suo progetto meticcio di cambiamento,
nella forma di una grammatica nuova.
LiberAzione.
Stefano Casulli
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