8.4.12

Recensione di "La lotta di classe dopo la lotta di classe" di Luciano Gallino

di Stefano Casulli, tratto da Via Libera Mc:
http://www.vialiberamc.it/2012/04/07/recensione-del-libro-la-lotta-di-classe-dopo-la-lotta-di-classe-di-luciano-gallino/

Sovente ci troviamo a recensire o semplicemente commentare saggi e romanzi di indubbio valore, in grado di effettivamente di rappresentare uno spaccato di umanità, di società, di personalità, se non addirittura di sogno.
Tuttavia solo di rado alla profondità di un testo si accompagna la capacità di essere immediatamente politico, restituendo una complessiva veduta sulle cose e riattivando i principi del cambiamento, della rivendicazione, dell’indignazione: è questo il caso del testo di Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, intervista di Paola Borgna edita da Laterza.
Il testo, uscito nelle librerie alla fine del mese di febbraio, si situa all’interno della crisi italiana e mondiale, un contesto che Gallino tenta di ricostruire riannodando i fili dei “fatti sociali”, la sola ortodossia cui il sociologo piemontese si richiama anche nell’ultima intervista uscita sul Venerdì di Repubblica del 6 aprile.
Dentro questa crisi il testo si pone, fin dall’Introduzione, il duplice obiettivo di restituire la verità dei fatti sociali nella loro complessità, decostruendo e smascherando il carattere ideologico degli assunti del nostro tempo:
Caso la lettrice o il lettore non lo sapessero, il maggior problem dell’Unione Europea è il debito pubblico. Abbiamo vissuto troppo a lungo al di sopra dei nostri mezzi. Sono le pensioni a scavare voragini nel bilancio dello Stato. Agevolare i licenziamenti crea occupazione. La funzione dei sindacati si è esaurita: sono residui ottocenteschi. I mercati provvedono a far affluire capitale e lavoro dove è massima la loro utilità collettiva. Il privato è più efficiente del pubblico in ogni settore: acqua, trasporti, scuola, previdenza, sanità. È la globalizzazione che impone la moderazione salariale. Infine le classi sociali non esistono più.
Un elenco che, alla prova dei fatti, si rivela “privo di qualsiasi ragionevole solidità”.
L’intervista prende come punto di partenza l’ultimo assunto (la non esistenza delle classi sociali) per contestarlo dati alla mano, rivelando invece la natura profondamente classista dell’ideologia totalitaria che le vuole scomparse.
È un’analisi puntuale ed allo stesso tempo esigente, che pretende da qualunque lettore fermezza e coerenza nella diagnosi del nostro tempo; in controluce si evince la profonda critica alla duplice grande trasformazione degli ultimi 30 anni:
1) le politiche economiche liberiste, fondate sulla deregolamentazione, privatizzazione e liberalizzazione assoluta;
2) la matrice neoliberale della nuova forma dello Stato, sempre più intrecciato con il mercato, di esso promotore, articolatore ed allo stesso tempo salvatore qualora ve ne fosse il bisogno;
Questa duplice trasformazione rientra dentro la complessiva controrivoluzione portata avanti dalla “classe capitalistica transnazionale, ora mondializzata”, e che viene richiamata nel titolo:
la lotta di classe condotta dal basso per migliorare il proprio destino [dal dopoguerra agli anni '70] ha ceduto il posto a una lotta condotta dall’alto per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere che erano stati in qualche misura erosi nel trentennio precedente. […] E’ ciò che intendo per lotta di classe dopo la lotta di classe.
Abbiamo accennato al potenziale mobilitante di questo testo. Alla dovizia di dati e statistiche, che più avanti riprenderemo, si aggiunge la chiarezza nell’individuazione della classe sociale dominante, che oggi attraverso i governi, gli istituti di credito internazionali (BCE, FMI, Banca Mondiale) e le pressioni delle grandi corporations ridefinisce attraverso riforme fiscali, prestiti e speculazioni la distribuzione della ricchezza e del potere nel mondo e nei singoli Paesi.
Rientrano in essa [unica classe dominante globale] i proprietari di grandi patrimoni, i top manager, gli alti dirigenti d’industria e del sistema finanziario, i politici di primo piano che spesso hanno rapporti stretti con la classe economicamente dominante, i grandi proprietari terrieri nei Paesi emergenti. […] Quanto all’Italia, non esistono più i latifondi, ma la proprietà immobiliare è una componente di peso della classe dominante.
 Inutile dire che, tanto nazionalmente quanto localmente, ognuno di noi può dare un volto a questa classe dominante globale, che si sta arricchendo in questi mesi utilizzando la retorica della crisi e dell’austerità.
Ragionamenti e politiche comuni ai vari Paesi del mondo richiamano appunto un’unica progettualità di classe. Elencando:
-la globalizzazione come progetto politico-economico non neutrale volto alla costituzione di una competizione generalizzata tra lavoratori, al fine di incrementarei profitti; si pensi che l’85% circa della produzione tessile, e quasi l’interezza di quella dei microprocessori, giocattoli e componenti di portatili e tablets (si pensi al caso Apple di pochi giorni fa) è stata esportata dall’Europa e gli Usa in Cina, India, Vietnam o Thailandia.
-competitività come nuova forma della lotta contro i lavoratori, ma anche come fattore che alimenta conflitti interni tra classi; Gallino cita per esempio il caso Fiat-Chrisler, dove i lavoratori neoassunti dopo il salvataggio dell’azienda vengono pagati la metà di quelli assunti in precedenza (14 dollari l’ora, contro 28);
-redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto: si prenda la tassazione dei capitali finanziari (12-20%) e la si paragoni all’aliquota minima, imponibile su chi guadagna meno di 15.000 euro (23%).
-flessibilizzazione del lavoro; l’Italia, contrariamente a quanto si dice, ha visto crollare il proprio indice della rigidezza della protezione dell’occupazione, che rende i lavoratori molto meno tutelati di quelli di Germania, Francia o Spagna.
Chiaramente, prima misura della potenza del conflitto tra classi è data dallo strutturale aumento delle diseguaglianze economiche su scala globale:
Facendo riferimento ai dati della Banca Mondiale per l’anno 2002, in attesa dei dati degli anni successivi, il decimo o decile più povero della popolazione mondiale – si trattava all’epoca di circa 620 milioni di individui – percepiva lo 0,61% del reddito globale, mentre il decimo più ricco percepiva il 57,5% del reddito globale. […] si può aggiungere che i 5 decimi più poveri della popolazione mondiale, ossia la metà di essa, non arrivano a percepire nemmeno il 7% del reddito globale. Inoltre, se prendiamo i 3 decimi che stanno in mezzo come rappresentanti delle classi medie – parliamo di quasi 2 miliardi di persone -, se ne ricava che il terzo centrale della popolazione mondiale percepisce in totale un reddito che si aggira su un sesto del reddito globale (il 16%).
Si può inoltre far notare come all’interno dei Paesi Occidentali la forbice si allarghi ulteriormente: negli USA, per esempio, il 10% più ricco della popolazione (che negli anni ’80 aveva il 30% della ricchezza) oggi ne possiede il 50%. Addirittura, l’1% più ricco della popolazione percepiva, da solo, nel 2008, il 23% del reddito nazionale. Da qui capiamo il famoso “siamo il 99%” di cui parlano gli indignati di Occupy WallStreet. In Italia, come confermato dall’Istat pochi giorni fa, le cose non sono diverse:
In Italia, i 5 decimi della parte inferiore della scala, cioè la metà della popolazione, posseggono in tutto soltanto il 10% della ricchezza, mentre il decimo più ricco detiene, da solo, circa il 50% di essa. Il nostro Paese si distingue inoltre per numero insolitamente elevato dei milionari in dollari, quelli al vertice della piramide. Essi rappresentano ben il 6% del totale mondo […]. Tale quota corrisponde a 1,5 milioni di individui. Il che induce qualche rozzo calcolo. Se il patrimonio di questi individui “ad alto valore netto”, di cui 1 milione di dollari è il limite inferiore ma l’entità media è considerevolmente più alta, fosse stato assoggettato a una risibile patrimoniale permanente di 3000 euro in media, si sarebbero raccolti 4,5 miliardi l’anno. Una cifra grossomodo equivalente ai tagli della pensione dei lavoratori dipendenti decisi dal neogoverno Monti nel dicembre 2011.
 La lotta di classe dopo la lotta di classe è un libro da tenere ‘dans la poche’, in tasca: uno strumento di lotta e di verità, che restituisce centralità alle dinamiche oggettive che ci investono oggi più che mai, in una stagione di generalizzata precarietà e di rapina istituzionalizzata nelle forme dell’espropriazione del lavoro, della democrazia, dei diritti.
Penso che solo da voci profondamente dissonanti con il monopensiero come quella di Gallino possa riaprirsi la strada del cambiamento di modello, in grado di contaminare tutte le forme (politiche, sociali, economiche, culturali) che oggi ci vedono ridotti ad una nuova forma di schiavismo di classe.

Gallino non è nuovo a scrivere testi di questo spessore, ed anzi il suddetto libro si inserisce in continuità con i principali lavori degli ultimi 10 anni dell’autore.

Per approfondire, sullo stesso tema si consigliano:
L. Gallino, Globalizzazione e diseguaglianze, 2003
L. Gallino, Il lavoro non è una merce: contro la flessibilità, 2007
L Gallino, Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l’economia, 2010
L. Gallino, Finanzcapitalismo, 2011

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